Ieri sera il consiglio comunale del capoluogo regionale sardo ha approvato un ordine del giorno, presentato dalla maggioranza di centrosinistra, in cui si dichiara «l’assoluta contrarietà» dell’assemblea «alla fabbricazione nel territorio italiano di armi destinate a paesi in guerra».

L’obiettivo è la multinazionale tedesca Rwm, che in Sardegna, a Domusnovas, nel Sulcis, produce ordigni che vengono venduti all’Arabia Saudita e usati dalla monarchia assoluta di re Salman nella guerra contro gli Huthi in Yemen. I consiglieri comunali che hanno promosso l’ordine del giorno (prima firmataria la Pd Rita Polo) non chiedono la chiusura della fabbrica di DomuSnovas. Vogliono invece che la produzione bellica sia riconvertita in una produzione civile, salvando i posti di lavoro, preziosi sempre, ma in particolar modo in un territorio come il Sulcis, un tempo il principale polo industriale sardo e oggi, desertificato dalla crisi economica globale, uno dei più poveri d’Italia.

L’ordine del giorno si rifà alle posizioni del Comitato per la riconversione della Rwm, «realtà – si legge nel documento discusso ieri – che si adopera per lo sviluppo di un’economia sostenibile, per un lavoro che salvaguardi l’ambiente, la salute e la pace».

I consiglieri comunali di centrosinistra impegnano la giunta e il sindaco Massimo Zedda (candidato governatore per il centrosinistra alle elezioni regionali del prossimo 24 febbraio) a «promuovere ogni azione perché il governo dia attuazione ai principi costituzionali e alle risoluzioni del parlamento europeo bloccando l’esportazione di armi destinate a Riyad». A Zedda si chiede anche di premere perché «i governi nazionale e regionale adottino, con lo stanziamento di effettive risorse, efficaci misure di politica economica e industriale per liberare il nostro paese, a cominciare dal Sulcis, da ogni irragionevole conflitto tra la dignità del lavoro e il diritto alla vita per tutte e tutti».

Sulla linea indicata dall’ordine del giorno discusso a Cagliari sta tutto il movimento pacifista sardo, in questi giorni alle prese con il varo ufficiale della prima fase dell’accordo firmato, nel dicembre del 2017, tra il governatore Francesco Pigliaru (Pd) e il governo Gentiloni per un alleggerimento del pesante carico di servitù militari che grava sulla Sardegna.

La spiaggia di Porto Tramatzu, nel poligono militare di Capo Teulada, in provincia di Cagliari, considerata una delle perle della costa sarda, diventa da subito un luogo turistico aperto a tutti i cittadini. Lo stesso succederà presto (entro il 2019) per altre due spiagge: S’Enna ‘e s’Arca e Punta S’Achivoni, comprese nella zona militare di Capo Frasca, in provincia di Oristano. Per altri due arenili, Sabbie bianche a Teulada e Cala Murtas nel poligono di Quirra, è stato ampliato il periodo dell’anno in cui saranno liberi da esercitazioni militari.

Ben poco, rispetto al fatto che tuttora sulla Sardegna pesa il 60 per cento di tutte le servitù militari italiane. E infatti A Foras, il principale movimento per la chiusura delle basi militari, le bonifiche, la restituzione delle terre alle comunità, in una nota esprime il suo disappunto.

«Regione Sardegna e governo italiano – si legge – celebrano con grande risonanza la riconsegna della spiaggia di Porto Tramatzu ai sardi ma, al di là delle altisonanti dichiarazioni del presidente Pigliaru e del ministro Trenta, la realtà è ben diversa. La firma del protocollo d’intesa arriva proprio nei giorni immediatamente successivi alla pubblicazione sul sito ufficiale dell’esercito di foto e resoconti delle ultime esercitazioni di carri armati a Teulada, dove si vede, chiaramente, qual è il risultato di decenni di devastazione».

«La firma del protocollo d’intesa – dicono i militanti di A Foras – non rappresenta alcun passo in avanti per quanto riguarda la liberazione della Sardegna dal peso dell’occupazione militare. È una sceneggiata utile solo alla campagna elettorale. Viene celebrato come storico un avvenimento che non cambia di una virgola la situazione precedente: sono tantissimi i sardi e i turisti che frequentano da anni la spiaggia di Teulada. Ora viene liberata la parte dell’arenile riservata, d’estate, agli ombrelloni dei militari. Ma l’altra parte è sempre stata libera. Inoltre ci chiediamo: come è possibile celebrare la riconsegna di Porto Tramatzu se nel protocollo d’intesa è previsto espressamente che si deve garantire la normale attività del poligono? Una messa in scena che serve a distrarre l’attenzione dal problema vero: una presenza di servitù militari in tutta l’isola assolutamente intollerabile».