Quella degli Ospedali psichiatrici giudiziari è una drammatica realtà che si trascina ormai da troppo tempo, capace di sopravvivere imperturbabile all’evoluzione delle conoscenze psichiatriche e al superamento dell’istituzione manicomiale sancito ormai 35 anni fa dalla legge 180. La mancata chiusura degli Opg lo scorso 31 marzo 2013, come era stato richiesto in seguito al lavoro della Commissione d’inchiesta del senato presieduta da Ignazio Marino del 2010, il rinvio di un anno, il rischio di un’ulteriore proroga, insieme alle gravi carenze di risorse economiche e umane nei servizi di salute mentale a livello territoriale, sono un chiaro segno di come funzionano, o meglio non funzionano, le cose.

Gli Opg sono grandi istituzioni totali difficili da estirpare dal nostro tessuto legislativo ancora basato sul codice Rocco del 1930, sulla non imputabilità, sulle misure di sicurezza e sul binomio malattia-pericolosità, in realtà privo di alcun contenuto scientifico. «Chiuderli sarebbe una scelta di civiltà, – per dirla con le parole dell’allora magistrato di sorveglianza di Napoli Igino Cappelli – il manicomio giudiziario è un’istituzione due volte da negare perché due volte violenta e due volte inumanamente e irrazionalmente totale: come carcere e come manicomio». Ma più di 1.000 sono ancora oggi le persone recluse in questi luoghi, definiti «indegni per un Paese appena civile» dallo stesso presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Sono persone private di ogni diritto e soggettività, spesso legate e violate, alle quali è urgente restituire il loro volto, la loro storia, la cittadinanza nel senso più ampio del termine, la dignità di essere umani.

Il rischio di un nuovo impantanamento dell’iter di chiusura ripropone all’attenzione dell’opinione pubblica la questione degli ospedali psichiatrici giudiziari e mobilita importanti istituzioni e associazioni nell’ambito della salute mentale nell’iniziativa Il viaggio di Marco Cavallo nel mondo di fuori per incontrare gli internati, promossa a livello nazionale dal comitato StopOpg e da Collana 180 – Archivio Critico della Salute Mentale, alla quale Napolitano ha conferito la medaglia del presidente della Repubblica in segno di personale apprezzamento.

Il cavallo azzurro realizzato quarant’anni fa dai «matti» nel Laboratorio P di Giuliano Scabia e Vittorio Basaglia, all’interno dell’ospedale psichiatrico di San Giovanni diretto da Franco Basaglia, è di nuovo protagonista di una grande battaglia di civiltà, forte della sua valenza simbolica contro ogni forma di discriminazione ed esclusione sociale. Fino al 25 novembre sarà infatti in viaggio al fianco di StopOpg e farà visita nelle sedi dei sei ospedali psichiatrici giudiziari esistenti (Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa, Napoli Secondigliano, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere).

«Marco Cavallo è la crisi della psichiatria delle certezze, è la dignità riconquistata, è la Costituzione prima di tutto», afferma Peppe Dell’Acqua, già direttore del dipartimento di salute mentale di Trieste, portavoce del Forum salute mentale nonché tra i curatori della Collana 180. «Come Garibaldi e i Mille, si imbarcherà a Quarto alla volta della Sicilia, e da lì poi risalirà la penisola per visitare tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari e per aprirli», prosegue Dell’Acqua.

Il gigante di legno e cartapesta torna così a scalciare con forza davanti ai letti di contenzione, alle porte chiuse, alle miserie di quelli che dovrebbero essere luoghi di cura, ribadendo che la dignità di un uomo esiste a prescindere dal suo stato di salute e dai reati che abbia commesso, sempre e ovunque. Ma non basterà chiudere gli Opg per abolirli, e Marco Cavallo è critico verso le decine e decine di «strutture residenziali speciali», alias mini Opg, in programma di realizzazione in tutta Italia. «Si dirà che saranno dei luoghi migliori commenta Dell’Acqua – ma non saranno i fiori alle finestre e le stanze pulite e ordinate a restituire i diritti e i doveri di una piena e reale cittadinanza alle persone ora internate». Il rischio è che restino sempre e comunque luoghi di esclusione e di isolamento, in cui medici e infermieri torneranno ad avere il mandato di cura e custodia secondo la vecchia logica manicomiale.

«Il problema è che non si stanno costruendo 200-300 posti a livello nazionale per coloro che abbiamo il dovere di trattare in modo adeguato, ma piuttosto mini Opg per un totale di 1.017 posti letto – spiega Stefano Cecconi, portavoce nazionale di StopOpg – e per di più si sta costruendo in regioni dove non c’è altro, dove questa non può che sembrare l’unica soluzione ragionevole». In altre parole, il ricorso all’internamento a fronte della povertà dei servizi.

In evidenza dunque il problema del rafforzamento delle reti territoriali, insieme alla necessità di lavorare sul codice penale, e ancora sul piano scientifico, etico e culturale, per costruire percorsi alternativi, fermo restando che ci sono altri «matti da slegare», dimenticati nell’istituto giuridico, obsoleto e inumano, dell’Opg.