La sortita di Putin in Italia e in Vaticano – dopo il G-7 da cui è stato escluso e dopo l’assenza degli alleati del passato alle celebrazioni del 70° della vittoria sul nazismo – ripropone il che fare con Putin. È possibile che la Russia di Putin stia costruendo l’arma del XXI secolo senza che lo sappia l’America di Obama?

Che la stia «sperimentando» dalla fine degli anni novanta, dagli eventi nei Balcani quando la Nato di Clinton e dell’Europa riesumarono la guerra fredda? Perché solo una tale ipotesi spiegherebbe gli interminabili errori di politica estera verso Putin e la Russia da parte del governo Usa e dei paesi europei. Oltre tutto è una politica non condivisa dagli abitanti di quei paesi: su incarico della Nato the Pew Research Center ha condotto un sondaggio a maggio sull’orientamento verso la Russia dei paesi europei, ponendo la domanda se i suoi abitanti fossero disposti a intervenire militarmente nel caso la Russia avesse invaso un paese membro della Nato.

Più della metà dei francesi, italiani e tedeschi esclude sia l’eventualità di un’aggressione russa e sia un proprio coinvolgimento, con il loro 70% i polacchi fanno eccezione. Ma l’eccezione contraria sono i tedeschi: solo il 19% prende in considerazione l’invio di armi all’Ucraina. Il sondaggio è stato fatto per convincere i fondamentalisti dei paesi baltici che non vi sono i presupposti per ritorsioni belliche contro Mosca. Nel commento al sondaggio si ricorda che l’88% dei russi ha fiducia in Putin e valuta le sanzioni contro Mosca una provocazione dell’Occidente ormai considerato nemico.

Chi legge la stampa estera – e i russi conoscono le lingue – vi trova quotidianamente analisi che sembrano pensate al culmine della guerra fredda. Spesso degli stessi esperti di allora con qualche anno in più ma con ancor minore onestà. Le analisi meno oggettive compaiono sui media più liberal. Che significa, però, cercare di essere oggettivi nel valutare le relazioni tra la Russia post-Eltsin e l’America di Clinton, Bush e Obama.

Significa cercare di capire le conseguenze dell’enorme delusione di Clinton, di Bush e per ultimo del povero Obama, nello scoprire che la vittoria sull’Urss non aveva trasformato la Russia in un paese satellite alla stregua di quelli europei. Al contrario.

Appena le condizioni politiche e economiche si sono stabilizzate, nei russi è emersa la «nostalgia» per il ruolo avuto nel mondo, con gli zar e con l’Urss. Putin è il politico professionale che su quella nostalgia ha costruito il consenso del paese alle sue strategie. Sono strategie con l’obiettivo di ridare credibilità al paese ed è disposto ad usare ogni mezzo, dall’uso politico del petrolio e dei brevetti militari d’avanguardia, alle mediazioni di pace come per il nucleare iraniano e l’annunciato intervento militare Usa in Siria nel 2013, fino alle sortite apparentemente rischiose come l’annessione della Crimea, alle intese di lungo respiro con la Cina.

Il che fare con Putin significa accettare che la Russia abbia un suo storico ruolo così come è successo con la Germania negli anni Cinquanta. Prima di adeguarsi alle richieste americane la Merkel e da noi anche Prodi l’avevano capito. La Merkel perché è tedesca, e ha vissuto l’esperienza di essere satellite di una grande potenza ed ha oggi l’esperienza di aver reso economicamente satelliti i paesi ai suoi confini, come Bismarck non si sarebbe mai sognato.

Prodi perché da presidente dell’Iri, ha avuto rapporti economici di vantaggio per il nostro paese, quegli stessi vantaggi che oggi ci sono impediti dalle sanzioni. Le sanzioni sono vissute dai russi come un’intollerabile umiliazione e qualsiasi ritorsione decisa dal proprio governo viene considerata legittima. Sono un’umiliazione perché sono la prova che la Russia non è riconosciuta pari agli altri grandi paesi.

Perché l’America con la Nato e l’Unione Europea ha costruito una sorta di cordone sanitario anti russo come fosse una terra nemica e non un pezzo di Europa. Quando, per la gran maggioranza dei russi, i nemici vanno cercati dove realmente sono e si moltiplicano, come per esempio nell’Arabia saudita e tra quei prìncipi e leader delle più varie fazioni etniche e religiose, dalla Libia allo Yemen, divisi tra loro ma uniti dal medesimo obiettivo di liberarsi dell’America e dell’Europa.