Si continua, tra proclami di approvazione e non pochi interrogativi, ad analizzare l’accordo che ha messo fine allo scontro tra Fatah e Hamas e che consentirà all’Autorità nazionale palestinese di riprendere il controllo di Gaza. Al centro della discussione ci sono inoltre gli interessi di Egitto, Israele e Stati Uniti. Ne abbiamo parlato con Ghassan Khatib, analista politico e docente di scienze politiche all’Università di Bir Zeit, in Cisgiordania.

Chi tra Fatah e Hamas ci guadagna di più dall’accordo firmato due giorni fa al Cairo con la mediazione egiziana

Si tratta di uno scambio. Hamas voleva liberarsi dell’incombenza del governo di due milioni di palestinesi, un compito arduo che è costato parecchio in termini di consenso popolare al movimento islamico. Da parte sua l’Autorità nazionale palestinese ora può affermare di aver ripreso il controllo di Gaza rimasta sotto Hamas per dieci anni. In termini pratici ci guadagna la popolazione perché l’estensione dell’autorità del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) potrebbe interrompere il boicottaggio di Gaza da parte dei governi occidentali e riaprire i rubinetti dei finanziamenti necessari per la ricostruzione della Striscia tre anni dopo l’offensiva israeliana Margine Protettivo.

Sul piano umanitario è un passo in avanti. Ma sul piano politico l’accordo è davvero una svolta nei rapporti tra Hamas e Fatah.

A mio avviso no. Certo un progresso è stato fatto ma sulla sicurezza, la costruzione di una nuova Olp e anche sulla convocazione di nuove elezioni legislative e presidenziali, non credo che Hamas e Fatah possano andare oltre. La riconciliazione è parziale.

Quindi niente elezioni

Non penso che presto, come si dice, ci saranno elezioni. Ho letto il testo dell’accordo e l’unica cosa sulla quale hanno trovato un’intesa è il ritorno dell’amministrazione di Gaza al governo del premier Rami Hamdallah. Hamas e Fatah dicono che continueranno a negoziare e ciò conferma che l’accordo riguarda solo la gestione civile di Gaza. Sugli altri nodi le possibilità di successo sono minime, quasi nulle. Le due parti di fatto li hanno congelati a tempo indeterminato.

E questo riguarda anche le armi di Hamas e il suo braccio militare, le Brigate Ezzedin al Qassam.

Soprattutto quel punto. Quando il presidente Abbas ha proclamato che non accetterà una doppia sicurezza a Gaza, quindi un ruolo per la milizia di Hamas, l’ha fatto solo allo scopo di inviare un messaggio ai governi occidentali che lo sostengono. Di fatto ha accettato una situazione a Gaza simile a quella del Libano, dove convivono l’esercito regolare e l’ala armata del movimento sciita Hezbollah. Penso che Hamas puntasse proprio a questo obiettivo quando (il mese scorso) ha avviato il riavvicinamento a Fatah. Attenzione. Abbas si è lasciato una via d’uscita. Se le cose dovessero mettersi male per lui potrebbe sempre fare retromarcia sull’accordo, proclamando che Hamas si è rifiutato di disarmare la sua milizia, cosa che ora accetta tacitamente. Quindi dall’inizio di dicembre il governo dell’Anp comincerà ad operare a Gaza e le forze militari di Hamas rimarranno dove sono, anche se lasceranno a 3mila poliziotti fedeli ad Abbas la gestione degli affari quotidiani nella Striscia.

Dovesse esserci una guerra, un nuovo attacco israeliano contro Gaza chi deciderà se rispondere sparando razzi o lanciando azioni armata, Abbas o il leader di Hamas Ismail Haniyeh.

I comandi di Hamas, non c’è alcun dubbio.

Eppure Hamas dice che, in un caso di guerra con Israele, non deciderà più da solo.

Questa disponibilità a parole serve ad evitare che l’accordo del Cairo possa saltare. I palestinesi sono consapevoli che Hamas deciderà sempre da solo se e come usare le sue armi.

Quanto questo accordo è finalizzato, come lasciano intendere gli egiziani, ad aprire la strada ad soluzione della questione israelo-palestinese e del conflitto arabo-israeliano, sulla base, dicono altri, del “piano di pace” che starebbe per annunciare l’Amministrazione Trump.

Non c’è un vero piano americano, Trump non ha alcun interesse a mettere a rischio i rapporti con Israele per realizzare i diritti dei palestinesi. E l’Egitto vuole soltanto garantirsi la collaborazione dei palestinesi di Gaza nella lotta contro i jihadisti nel Sinai.

Israele condanna ma non si oppone sul serio all’accordo Fatah-Hamas. Perché?

Perché ha tutto da guadagnarci. La tensione, il peggioramento delle condizioni di vita a Gaza, l’inquinamento del mare causato dalla mancanza di elettricità nella Striscia e molte altre cose, sono indirettamente un problema per Israele. (Il premier) Netanyahu non cerca, almeno per ora, l’escalation. Vuole che i palestinesi di Gaza se ne stiano buoni e ben chiusi nel loro territorio. L’estensione dell’autorità dell’Anp perciò non può che soddisfarlo.