E anche questa primavera ci accompagna verso una nuova rinascita. L’avrei scritto egualmente anche senza covid, ma questo secondo anno di pandemia ci restituisce un’umanità più stanca, forse meno spaventata ma non meno afflitta che un anno fa. Certo, in questi mesi l’arrivo dei vaccini ha risollevato lo spirito, quantomeno in prospettiva, ma la fatica e la scarsità di risorse economiche iniziano ad essere particolarmente opprimenti; di fronte ad una politica che passa il tempo a sventolare aiuti e cifre esorbitanti, senza produrre quella ricaduta necessaria, auspicabile, di sostegni reali alle economie domestiche e aziendali, lo sconcerto e la sfiducia non possono che approfondirsi. E magari, anche se può apparire poco, o nulla, abbandonarsi all’abbraccio del paesaggio che ci circonda può aiutare, rimettendo in ordine parte di quel tanto che è in disordine.

QUESTO PRIMO CAPITOLO di Arbor maxima finalmente in moto fra le bellezze naturali del nostro paese mi riporta in un comune, Montaldo Dora, a nord di Ivrea, abbarbicato sulle propaggini dell’anfiteatro morenico, residuo maestoso dell’ultima glaciazione. Vi sono già stato tre anni fa, al tempo ero qui per documentare un albero monumentale, un cedro dell’Atlante (Cedrus atlantica) che si trova in un giardino privato, ma visibile anche dalla strada; cresce nei suoi trenta metri di altezza, un largo tronco – 687 cm di circonferenza del tronco – probabilmente messo a dimora nel 1818, una foresta verticale, un concentrato di ombre e fronde spinose che è sempre un piacere rivedere. Nell’articolo che scrissi per La Stampa lo chiamai il Granduca.

DAL CENTRO DEL PAESE, VIA MAZZINI, si procede su via Vallesa che poi diventa via Casana, dal nome della famiglia nobile del paese, di cui infatti troviamo quel che resta della imponente villa settecentesca ora chiusa al pubblico. Il percorso finale di via Casana si innesta nell’antica via Francigena che qui costeggia il colle sulla cui cima svetta un castello. Il giardino nel quale cresce il grande cedro, segnalato oltremodo da un cartello con tanto di nome botanico e breve storia, è quel che resta del giardino storico di Villa Casana. A pochi passi dal cancello cresce, in area pubblica, un platano ibrido (Platanus x acerifolia), col suo tronco che misuro: 435 cm, a petto d’uomo. Da qui si può partire seguendo la Francigena e arrivando a visitare tre laghi: il Lago Pistono, il Lago Sirio e il Lago Nero.

LA VIA FRANCIGENA univa il confine francese col cuore della Cristianità, Roma e i porti per la Terra Santa. Alcuni tratti si sono mantenuti fedeli, o quasi, all’originale medioevale, e Montaldo Dora, se non fosse per le case più moderne, transitando lungo il tratto che percorriamo attualmente con vista castello sembrerebbe in effetti un classico villaggio di un altro tempo. L’associazione dei volontari comunali ha costellato il percorso di segnalazioni botaniche, riportate a fianco di alcuni alberi, contrappunto alle specie che decorano i diversi giardini privati, squadernando quel miscuglio inevitabile fra essenze autoctone e le molte importazioni esotiche. La prima salitina ci conduce alla Chiesa di San Rocco, costruita alla fine del Trecento e ampliata nella forma attuale nel corso del XVII secolo. Acacie, bagolari, un ulivo.

IL PROFILO MONUMENTALE DEL CASTELLO si manifesta compiutamente in una giornata di alta pressione come questa: il cielo pulito, trasparente, proietta una luce nitida sulle parete e sui torrioni. La prima documentazione che ne attesta l’esistenza risale al 1202, un secolo più tardi passa in mano ai Savoia, e l’attuale sistemazione risale al 1403. Dopo un parcheggio con fontanella c’è un bivio: sulla destra si segue il sentiero che circumnaviga il Lago Pistono da est, ricongiungendosi al punto ristoro (La Monella), se si prosegue invece si arriva ad una deviazione successiva che conduce sul lato nord-occidentale del medesimo invaso. Proseguendo dunque sulla strada principale incontriamo esemplari di sorbo degli uccellatori, querce pubescenti e alcune curiose colonie di fichi d’India nani (Opuntia compressa), cresciute fra i sassi di una parete molto alta, un tocco di Mediterraneo fra le Alpi. Alcune palme cinesi o di montagna, un boschetto fitto e piramidale di pini bianchi o Weymouth, altresì noti come pini strobo (Pinus strobus). Questi saranno alti fra i 20 e i 25 metri, e fa impressione pensare che il più alto della sua specie cresca negli Stati Uniti e raggiunga i 57 metri. Il più grande strobo, un monumentale, che abbia visto in Italia cresce nel giardino del chiostro di un monastero qui in Piemonte, alla Certosa di Chiusa Pesio, in una delle innumerevoli valli del cuneese. Aceri campestri, alaterni, frassini, pioppi, liriodendri, glicini in profumatissime infiorescenze.

DEVIAZIONE SULLA DESTRA E SI ARRIVA, in pochi minuti, al ponte che costeggia il lago, con le sue baragge e le spiagge fangose. Qui sorge un minimo villaggio palafitticolo che riproduce le architetture del Neolitico, testimoniando l’esistenza di ritrovamenti di una civiltà nota agli studiosi come Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata (V secolo a. C.). Sopra la sponda sorge la casupola che ospita il punto ristoro. Nel parcheggio retrostante inizia un percorso nel bosco che merita e con calma lo si può superare, fermandosi nei vari punti, in meno di un’ora. Uno dei sentieri collegati porta al Lago Sirio. Purtroppo le indicazioni non sono molto affidabili, ci sono bivi nei quali vi tocca attendere consigli o provare, se avete tempo, ad indovinarla.

ROCCE E SPINOSI GINEPRI COMUNI (Juniperus communis) dalle cortecce striate e sfilacciate. Castagni scolpiti, e belvedere sul lago, con vista del castello in cima al colle. Notevole. Seguendo il sentiero e tenendo a mente che è opportuno svoltare alla vostra sinistra, si accarezzano alcune querce, forse roveri, due pini domestici, si attraversa una giovane selva castanile fino ad una palestra di roccia. Scendendo si transita sopra il parcheggio del ristoro e si sbuca al fondo su una strada che a sinistra riconduce al parco archeologico.

PER RAGGIUNGERE IL LAGO NERO, la nostra prossima meta, conviene tornare sulla Francigena e seguirla per circa mezz’ora fino al punto in cui il sentiero si sterra e si arriva nel bosco fitto che circonda lo specchio d’acqua. Dei tre il Lago Nero è il più selvatico, isolato, quasi remoto. La stradina si apre in tre direzioni. Per scendere consiglio di proseguire dritti, transitando alla destra di un grosso masso, quasi una piramide rupestre, nonostante i tronchi abbattuti e gli alberi caduti lungo il sentiero. La mancata cura di questo tratto può lasciare perplessi, è opportuno prestate cautela ma il bosco che vi circonda dovrebbe bastare a rilassarvi. Si scende rapidamente e si arriva in costa, sul sentiero che circonda parte del lago. Vi ritroverete soli e beati, a due passi dalle acque increspate di questo piccolo lago scuro, ombroso, e fondo antro del mondo. Ammirerete la danza delle nuove foglie e ascolterete il piegarsi flebile, gli ondeggiamenti del corpo di ballo dei rami. Che ambiente pacifico! Ottimo luogo ove meditare.