Loro sono precari e dovranno aiutare i disoccupati, destinatari del «reddito di cittadinanza», a trovare un lavoro. Gli operatori precari dell’Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro (Anpal) ieri sono tornati a protestare contro uno dei paradossi viventi delle politiche del lavoro in Italia.

Sono circa ottocento, sono qualificati, svolgono da anni quella politica che ora sembra essere il futuro. Assistono i centri per l’Impiego (che dovrebbero essere rifinanziati con 2 miliardi, mentre nel decreto dignità si prevede un rafforzamento del personale). Vivono da anni con contratti a tempo determinato e, davanti a loro, hanno ancora precariato. «Riteniamo gravissimo – scrivono in un comunicato – che il presidente Anpal Del Conte, nel corso dell’audizione in commissione XI al Senato (dove si discute di centri per l’impiego), il 18 luglio non abbia evidenziato la criticità strutturale delle politiche attive in Italia».

Questo stato di incertezza non certo recente, che in diversi casi dura da 17 anni. Nella stessa situazione si trovano circa 2.000 precari in forza presso i Centri per l’Impiego. Come se non bastasse, è tutt’ora in via di applicazione il piano che prevede l’assunzione di ulteriori 1.600 operatori precari (di cui 600 dedicati all’implementazione del Reddito di Inclusione – ReI), con contratti a tempo determinato. I precari Anpal si trovano così sospesi, e senza notizie. Rivendicano un ruolo e denunciano la contraddizione in cui sono stati messi: “In che modo possono essere resi esigibili diritti ai disoccupati, precari, ai poveri – chiedono – se i servizi gravano su un elevato numero di personale precario?”.

I lavoratori annunciano un’assemblea pubblica e rivendicano un «piano di stabilizzazione».