È il 17 luglio quando il terremoto giudiziario che ieri ha registrato la scossa più forte con la richiesta di arresto per Francantonio Genovese inizia a far tremare i palazzi della politica messinese.

20pol2f01 francantonio genovese-auto
E mentre il procuratore capo Guido Lo Forte spiegava, illustrando i primi risultati dell’inchiesta sul mondo dei corsi di formazione, che «a volte le spese venivano gonfiate fino al 600%», tra i dieci arresti nell’ambito dell’inchiesta sugli enti di formazione Aram, Lumen e Ancol – che secocon la guardia di finanza dal 2006 al 2011 avrebbero percepito indebitamente 47 milioni di euro – venivano fuori i nomi delle mogli dei due precedenti sindaci di Messina, uno di centrosinistra l’altro di centrodestra: domiciliari per Chiara Schirò, moglie di Francantonio Genovese, e Daniela D’Urso, consorte di Giuseppe Buzzanca. Insieme a loro, anche stavolta rigorosamente bipartisan, arresti a casa anche per l’assessore al Lavoro della giunta di Buzzanca, Melino Capone, ed il consigliere comunale del Pd, genovesiano di ferro, Elio Sauta.

A firmare i provvedimenti cautelari è il Gip Giovanni De Marco, con accuse di associazione a delinquere finalizzata al peculato e alla truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Accanto a Lo Forte, in conferenza stampa, il procuratore aggiunto Sebastiano Ardita ed i sostituti Camillo Falvo, Fabrizio Monaco e Antonio Carchietti raccontavano di bilanci spulciati a partire dal 2007, di verifica di gestione della spesa dei fondi targati Regione, Stato e Comunità europea, di spese gonfiate come nel caso degli affitti delle strutture che ospitavano i vari enti. Le misure cautelari di luglio non erano che il primo, deflagrante effetto dell’inchiesta che vede indagati Francantonio Genovese ed il cognato, deputato regionale all’Ars, Franco Rinaldi. E infatti passano otto mesi, e per Genovese arriva la richiesta di arresto, partita dalla procura messinese e destinata alla Camera dei deputati. E i numeri dell’inchiesta iniziano a crescere: venticinque indagati, cinquantaquattro capi di imputazione, quattro nuovi arresti ai domiciliari. Le accuse, per l’ex sindaco, sono una rasoiata a carne viva: «Il parlamentare, nel corso del tempo ha acquisito, grazie ad una rete di complici riferibili anche alla propria famiglia, il controllo di numerosi enti di formazione operanti in tutta la Sicilia e, parallelamente, di una serie di società che gli hanno permesso di giustificare le appropriazioni, così da lucrare illeciti profitti». Per sostenerli, la Procura tira in ballo, oltre agli enti di formazione, una mezza dozzina di società che agli enti erogavano servizi. Uno snodo fondamentale, secondo l’accusa. A Genovese la Procura contesta di essere stato il promotore dell’associazione per delinquere, di aver commesso il reato di riciclaggio per avere intascato, sotto forma di consulenze, oltre 600.000 euro da parte di società del proprio gruppo, parte dei quali erano provento di peculati e frodi alla Regione Siciliana, e di averli poi messi in circolo mediante pagamenti per operazioni inesistenti in modo da non rendere possibile la ricostruzione delle operazioni.

Secondo la l’accusa il parlamentare Pd avrebbe anche operato un vorticoso giro di false fatture tra sé stesso e società del gruppo a lui riconducibili per frodare sistematicamente il fisco e non pagare le tasse. La Procura di Messina ritiene che il deputato, per evadere il fisco, si sia avvalso della società Caleservice, trasferendo alla stessa la gran parte del proprio reddito personale e successivamente caricando sui suoi bilanci, come costi societari, tutte le spese personali e della famiglia rendendo così i corrispettivi esenti da tassazione, ed anzi utilizzandoli come costi per aggravare il passivo dell’azienda.

Insieme alla richiesta d’arresto per Genovese, il Gip De Marco ha disposto quattro provvedimenti cautelari: a finire ai domiciliari sono Salvatore La Macchia, ex ad dell’Ato3 di Messina e capo della segreteria tecnica dell’ex assessore regionale alla Formazione Mario Centorrino; Roberto Giunta e Domenico Fazio, impiegati all’Ars. Per La Macchia l’accusa è di truffa aggravata. Il commercialista Stefano Galletti è accusato di peculato e truffa aggravata.