Sette lettere. Freedom, libertà. Semplicemente libertà. Non c’era sottotesto in quella canzone, chiara sintesi ripetuta, urlata accompagnandosi alla chitarra di fronte alla folla oceanica assiepata nella tre giorni di Woodstock, di cui interpretava perfettamente l’anima. Richie Havens, il suo autore, il folk singer dall’aspra e terrigna voce che riprendeva i toni del blues e del soul, se ne è andato a 72 anni, stroncato da un infarto. Arrivava dal ghetto, più precisamente da Bedford Stuyvesan, da Brooklyn, ultimo di nove fratelli, per approdare ai Cafè del Village dove si era fatto le ossa diventando, nel tempo, una risposta ’nera’ a Dylan e Joan Baez. Incarnava perfettamente lo spirito dei 60 – la voglia di cambiamento, l’urlo antimilitarista che scuoteva dalle fondamenta gli Stati uniti per poi coinvolgere il resto del pianeta – tanto che un altro suo pezzo di quegli anni Handsome Johnny (1969), divenne un inno della controcultura contro la guerra in Vietnam.

Di certo il suo nome è legato indissolubilmente a Woodstock, che aprì quasi per caso, in sostituzione di un’altra folk band, i Sweetwater, rimasti bloccati nel traffico. Doveva suonare solo quattro pezzi, ma alla fine fu «costretto» a esibirsi in un set di oltre due ore, intervallandoioni originali con quelle dei Beatles e dove l’apice fu, ripetuta come un mantra l’esecuzione della celeberrima Freedom, giocata alternando le strofe improvvisate del gospel Motherless child. Sapeva coinvolgere il pubblico accompagnando il canto con un modo di suonare la chitarra originale, semplice e difficile allo stesso tempo.

Un senso del ritmo, e uno stile singolare che sarebbe stato copiato nel tempo da molti artisti americani, il cosiddetto strumming, ovvero l’uso costante del pollice, per gli accordi, e l’uso del piede in stile Foot-Drum. Così originale da far esclamare a John Lennon: «Sembra quasi un chitarrista funky!». Uno stile dettato da un’esigenza, le grandi mani di Havens gli rendevano difficile suonare la chitarra nella maniera canonica…«Io canto solo pezzi – spiegava a chi gli chiedeva le ragioni delle sue scelte musicali – che riescono a coinvolgermi, indipendentemente dal fatto che possano funzionare commercialmente. Non mi sento nello show business, ma è questo che voglio». E di fatto la carriera di Havens, nonostante i venticinque album realizzati e tour infiniti, si può riassumere in pochi pezzi originali ’noti’ che si contano sulla punta delle dita (No opportunity Necessary, Stop pulling and pushing me fra gli altri) preferendo soprattutto rivisitare con originalità canzoni già note, selezionate dal repertorio di Beatles, Bob Dylan e Van Morrison (da recuperare una bella versione di Tupela Honey, nel live del 1972).

Sotto la Verve Forecast del tycoon Albert Grossman, Havens ha inciso senz’altro i suoi lavori più significativi, come Mixed Bag (1967) che conteneva la citata Handsome Johnny, scritta a quattro mani con l’attore Louis Gosset Jr.; Follow e una straniante quanto efficace cover del classico dylaniano Just like a Woman. Del 1971 l’unico singolo ad arrivare nei top 20 di Billboard, e anche questo caso si trattava di una cover dei quattro baronetti, Here comes the Sun, del solo George Harrison.

Nel 1983 una parentesi italiana, una collaborazione con Pino Daniele finita in un disco Commond Ground. Joe Amoruso, che di quel disco fu co-arrangiatore con Daniele e produttore artistico, lo ricorda così: «Era affascinato dalla cultura mediterranea, arrivò da noi dopo aver sentito i dischi di Pino Daniele, aveva avvertito un forte feeling. Si presentò a Napoli mentre stavamo registrando Bella Mbriana. Richie era per noi una delle icone di Woodstock, ma conoscendolo scoprimmo uno sciamano che aveva imparato a conciliare la sua anima con lo show business. Ma quando incontrava la situazione e le persone giuste, faceva la musica che voleva, soprattutto jam session improvvisate, suonando la chitarra a modo suo. Common ground, è nato così». Oltre alla musica, Havens si dedicò anche alla tv (con numerose ospitate da Ed Sullivan Show e al Tonight show) al cinema (lo si vede mentre esegue Tombstone blues in Io non sono lì di Todd Haynes), calcando anche le tavole del palcoscenico in un allestimento americano di Tommy degli Who. Un ultimo sussulto di celebrità grazie a Tarantino, che ha inserito Freedom nella colonna sonora di Django Unchained.