L’avvertimento di Pfizer sui rischi di prolungare l’intervallo tra la prima e la seconda dose delle vaccinazioni non ha fatto arretrare di un millimetro gli esperti del comitato tecnico scientifico.

Il parere rimane invariato, tra una dose e l’altra si può attendere 42 giorni e non le 3-4 settimane previste inizialmente per i vaccini a Rna.

La ragione è stata ribadita ieri in un’intervista alla Rai dal presidente del Consiglio Superiore di Sanità e coordinatore del Comitato tecnico scientifico Franco Locatelli: «L’intervallo tra la prima e la seconda somministrazione prolungato alla sesta settimana, quindi ai 42 giorni, non inficia minimamente l’efficacia dell’immunizzazione e ci permette di somministrare molte più dosi di vaccino», ha detto il medico. «Capisco che chi lavora nell’industria abbia atteggiamenti protettivi rispetto agli studi condotti e questi principalmente riguardavano l’intervallo di 21 giorni – ha proseguito – ma poi gli studi sulla vita reale ne hanno mostrato l’efficacia anche con intervallo a 42 giorni». Quindi «affermazioni come quelle di ieri creano solo sconcerto e sarebbero auspicabilmente evitabili». Locatelli si è riferito così alle parole della direttrice medica della Pfizer Italia Valeria Marino, che ha garantito l’efficacia del vaccino solo rispettando i tempi stabiliti dall’azienda negli studi clinici.

IL TONO PERENTORIO, inusuale in Locatelli, è giustificato dalla confusione provocata dalle affermazioni della Pfizer. A lamentarsene erano stati soprattutto i governatori alle prese con la campagna vaccinale: tornare al vecchio regime, pochi giorni dopo aver riprogrammato le seconde dosi su tempi più lunghi, sarebbe stato problematico dal punto di vista organizzativo. E non avrebbe aiutato sul piano della comunicazione presso un’opinione pubblica già piuttosto scossa dalle incertezze che hanno caratterizzato fin qui la campagna.

In soccorso della posizione italiana è giunta l’Agenzia europea del farmaco (Ema). «Nei trial clinici era consentito somministrare la seconda dose anche in una finestra fino a 42 giorni», ha detto Marco Cavaleri, responsabile vaccini dell’Ema, ricordando gli studi effettuati dalla Pfizer prima dell’approvazione del vaccino. «Possiamo considerare che dare una seconda dose in un intervallo prolungato fino a 42 giorni non sarebbe una deviazione dalle raccomandazioni».

NELLA MATTINATA DI IERI, l’azienda aveva dovuto ammorbidire i toni: «Per Pfizer non è in discussione il piano vaccinale, l’azienda si limita a riportare quanto emerso dagli studi registrativi» si legge in una nota. «Le raccomandazioni sui regimi di dosaggio alternativi sono di competenza delle autorità sanitarie e possono includere raccomandazioni dovute a principi di salute pubblica». L’incidente dunque sembra chiuso e i piani vaccinali delle regioni sono confermati.

Non tutti però la pensano come Locatelli. Un gruppo Facebook con un migliaio di membri sta preparando un ricorso al Tar contro il prolungamento. Più realisticamente, si dice perplesso anche il presidente della fondazione Gimbe Nino Cartabellotta: «Ritardare la somministrazione dei vaccini Pfizer e Moderna non è un’indicazione scientifica. È una strategia per fronteggiare la carenza di dosi, i rifiuti del vaccino AstraZeneca e accelerare la campagna vaccinale» è il suo tweet. Verissimo, ma forse il punto è proprio questo. Pfizer e le autorità di sanità pubblica non valutano l’efficacia di un vaccino dallo stesso punto di vista. Per l’azienda, conta il grado di immunità conferita all’individuo, a prescindere dal contesto. Per gli esperti del Cts, invece, l’obiettivo delle vaccinazioni è la protezione della popolazione, e questo richiede di tenere conto del numero limitato di dosi che si somministrano ogni giorno a causa di forniture ridotte o di problemi logistici.

Rimandare la seconda dose consente di “spalmare” i vaccini su una platea più ampia senza mettere scorte da parte e confidando nell’abbondanza delle dosi a venire. Da un lato, in questo modo si riduce il numero di persone pienamente protette dal vaccino. Dall’altro, si può conferire una protezione parziale che limita la circolazione del virus e avvantaggia tutti, vaccinati e non. Ma la scommessa è sensata solo se il flusso dei vaccini non si interrompe.