Poco più che sessantenne e autore di quattordici romanzi, Richard Powers è uno degli esponenti più accreditati della generazione che, a cavallo di due millenni, ha saputo dare nuova linfa alla tradizione sperimentale del postmoderno, puntando le proprie armi su un’idea di scrittura come evento dialogico, confronto con un lettore che è chiamato a scoprire e spesso «inventare» il senso dell’opera che ha davanti. Reduce da studi scientifici e letterari e da una precoce esperienza di programmatore informatico, Powers si è confrontato, nel corso della sua carriera, con molti dei temi su cui rischia di giocarsi il futuro della specie: dal dominio di una informazione esplosa e incontrollata all’emergenza ambientale, dalla crescente invasività della scienza ai nuovi conflitti su scala globale.

Non si è peraltro limitato – e in questo risiede la sua originalità – a enunciare questi temi, né si è mai accontentato di un’esposizione di stampo didascalico e in fondo tradizionale, che affidasse ai soli contenuti l’aggancio con la complessità del presente. Ha invece deciso di portare i conflitti all’interno dei suoi libri, incarnandoli nelle complesse strutture che popolano la sua narrativa, perennemente giocata su un delicato equilibrio tra narrazione intima e storia ufficiale, pensiero scientifico e finzione letteraria, memoria autobiografica e racconto d’invenzione. E ha raggiunto l’apice della fama e della perfezione formale con Il sussurro del mondo: un romanzo-monstre, premiato con il Pulitzer, che attraversava più di un secolo di storia americana seguendo le vite di dieci personaggi, ricostruite fin nella loro genealogia ma accomunate dalla presenza degli alberi, che – in quanto comunità perennemente insidiata ma capace di prodigiose forme di resilienza o addirittura di resurrezione – fungevano da protagonista collettivo.

Una costruzione binaria
Se Il sussurro del mondo, insieme a romanzi precedenti come Canone del desiderio, Sporco denaro o Il tempo di una canzone, traduceva la complessità e la ricchezza dell’impianto tematico in strutture estremamente articolate, in grado di dare spazio a quel corto circuito tra scienza e arte, ricerca astratta e concretezza del desiderio, verità sperimentale e intuizione creativa, in cui consiste il nucleo generatore della poetica di Powers, il suo successore, Smarrimento, finalista al Booker Prize (e ora tradotto da Licia Vighi per La nave di Teseo, pp. 400, € 18,00) appartiene, come del resto Galatea 2.2, Generosity e Orfeo, a una seconda categoria di opere basate su una costruzione binaria e sulla contrapposizione tra l’intimità dolorosa della vita privata e il flusso travolgente delle grandi trasformazioni della vita pubblica.

Protagonista del libro è Theo, astrobiologo perennemente a caccia di finanziamenti per le sue ricerche, e reduce da un terribile lutto personale. La moglie, Alyssa, avvocato impegnato nella tutela delle specie in via di estinzione, è morta in un incidente d’auto, nel tentativo di evitare un opossum che le attraversava la strada. Rimasto da solo a prendersi cura del figlio Robin, che ha nove anni e soffre di accessi di rabbia e problemi di socializzazione attribuiti dalle autorità scolastiche e sanitarie di volta in volta a una forma leggera di Asperger, a un disturbo ossessivo-compulsivo o a un deficit di attenzione, Theo – che genitore, forse, non ha mai voluto esserlo – cerca in ogni modo di trasportare il bambino in una dimensione protetta, di indurlo ad accettare la perdita della madre e a trovare un equilibrio che, dalla nascita, non ha forse mai avuto. E per farlo trascina Robin nel suo mondo, nell’esplorazione delle forme di vita potenziali disperse nelle miriadi di pianeti di cui sono cosparse le galassie.

Di questo, del resto, si occupa l’astrobiologia, la disciplina nella quale Theo si è specializzato: scrivere «programmi che cercano di raccogliere tutte le informazioni che abbiamo dei sistemi di ogni genere di pianeta – le rocce, i vulcani e gli oceani, tutta la fisica e la chimica – e di metterle insieme per predire quale tipo di gas potrebbe essere presente nelle loro atmosfere».

I viaggi di Theo e Robin in questi pianeti virtuali punteggiano l’intero romanzo, e il loro valore terapeutico si basa su un assunto affascinante, una delle tante, geniali intuizioni che Powers dispensa lungo l’intero percorso del romanzo: «Condividono tante cose, l’astronomia e l’infanzia. Entrambe sono viaggi lungo enormi distanze. Entrambe cercano fatti ben oltre la loro capacità di comprensione. Entrambe teorizzano enormemente e lasciano che le possibilità si moltiplichino senza limiti. Entrambe sono mortificate a intervallo di qualche settimana. Entrambe agiscono per ignoranza. Entrambe sono ingannate dal tempo. Entrambe stanno sempre cominciando qualcosa».

Riandando alla madre
Accanto ai viaggi immaginari, però, Robin ne pretende altri, interamente dedicati alla memoria della madre: gite sulle Smoky Mountains lunghe anche una settimana, a caccia delle tante specie animali e vegetali insultate dalla curiosità malevola di un’umanità che tutto pretende di possedere, controllare, distruggere. Risuona ogni sera, nella tenda improvvisata in cui Theo e Robin si preparano a riposare, la preghiera laica che Alyssa ha portato nelle loro vite: «Possano tutti gli esseri senzienti essere liberati dalle sofferenze inutili». E Alyssa continua a essere presente in molti altri modi, prima di tutto nella smania con la quale Robin insiste a voler rivedere i video custoditi dalla rete e nei quali la madre è stata immortalata durante le sue battaglie ambientaliste.

L’effetto, agli occhi di Theo, appassionato lettore di fantascienza durante gli anni dell’adolescenza, va al di là di quanto i suoi autori preferiti avessero saputo predire: «Io ho meno di quindici minuti di video di mia madre. Oggi, i morti che si muovono e parlano sono ovunque, disponibili in qualsiasi momento, da qualsiasi tasca. È rara la settimana in cui noi, destinati a morire, non consegniamo qualche altro minuto delle nostre anime agli archivi traboccanti. Neppure la più assurda storia di fantascienza della mia giovinezza lo presagiva. Si immagini un pianeta dove il passato non svanisce ma continua a succedere ripetutamente, per sempre. È quello il pianeta in cui il mio bambino di nove anni voleva vivere».

Né le spedizioni nello spazio virtuale, né quelle in mezzo alle montagne, né le sessioni video a caccia del vivo fantasma di Alyssa riescono a portare equilibrio nella vita di Robin, e Theo è indotto a giocarsi un’ultima carta: inserire il figlio nel programma sperimentale di neurofeedback ideato dal professor Martyn Currier, vecchio amico e forse amante di Alyssa, che consente a chi vi si sottoponga di accedere a un immenso archivio di esperienze emotive, e di assorbirne il meglio modificando così i propri comportamenti.

«Immaginate», dichiara lo stesso Currier durante una conferenza stampa, «un mondo dove la rabbia di una persona viene placata dalla calma di un’altra, dove le vostre intime paure vengono mitigate dal coraggio di uno sconosciuto, e dove il dolore può essere allontanato con il training, con la stessa facilità con cui si prendono lezioni di pianoforte. Potremmo imparare a vivere qui, sulla Terra, senza paura».

Tra le emozioni archiviate da Currier ci sono anche quelle di Alyssa, che insieme a Theo aveva accettato di partecipare al programma nella sua fase inaugurale, ed è alla miracolosa capacità della madre di incanalare la rabbia e trasformarla in energia positiva che Robin attinge, subendo una trasformazione così profonda da farlo diventare, anche se per una breve stagione, un case study di successo.

Il grandissimo merito di Powers, e la ragione per la quale Smarrimento è forse il suo romanzo più riuscito dopo Il tempo di una canzone, sta nel perfetto equilibrio con il quale la raffinata concettosità – a volte quasi barocca – delle riflessioni sulla scienza e sul suo impatto quotidiano nelle nostre vite, e la precisione dei riferimenti all’attualità – non mancano i richiami all’oscurantismo dell’amministrazione Trump e al risveglio (intorno alla figura di Greta Thunberg) della sensibilità ambientalista – si accompagnano a una materia umana incandescente e dolorosa.

L’amore inadeguato di Theo per il figlio, l’innocenza ferita di Robin, la presenza costante del lutto e del fantasma di Alyssa, sono il vero fulcro della storia, dalla prima all’ultima pagina. E fugano qualunque rischio di freddezza o astrazione, donando al romanzo quell’intensità e quel nitore che, in altre opere di Powers, erano rimasti a tratti sommersi da un eccesso di intellettualismo.