A tredici anni dalla creazione ad Anversa approda finalmente in Italia Richard III di Giorgio Battistelli, presentato venerdì scorso al Teatro La Fenice di Venezia – repliche fino al 7 luglio. L’opera rinasce nell’allestimento di Robert Carsen, che ne ha condiviso l’intera vicenda produttiva (Dusseldorf, Strasburgo, Ginevra) sin dalla prima nel 2005 alla Vlaamse Opera, riconfermando Riccardo III come uno degli esiti operistici più compiuti di Battistelli e del recente panorama italiano.

 

Struttura omogenea e serrata, l’opera deve la propria riuscita in primo luogo alla felice intesa fra il drammaturgo Ian Burton, il compositore e il regista. Il libretto, in inglese, restituisce le linee essenziali del dramma shakespeariano, mantenendo alcuni snodi testuali essenziali, ma con vigorosi tagli ai personaggi e alla trama. La scrittura di Battistelli accompagna, anzi precipita la narrazione in un vortice ineluttabile di sangue e violenza: una scrittura orchestrale cupa, magmatica, punteggiata da fanfare militari, sibili e clangori metallici.

 

La struttura drammaturgica, che racchiude l’ascesa e la caduta di Riccardo III fra le incoronazioni di Enrico IV e Edoardo VII, vede la presenza costante di un coro da tragedia greca (ben preparato da Claudio Marino Moretti), il cui canto si intreccia e si sdoppia nell’esecuzione dal vivo e nelle alonate sezioni registrate, con un finale catartico, ben memore della polifonia cinquecentesca inglese. La scrittura vocale si dispiega sul reiterarsi delle vaste ondate sonore dell’orchestra e varia dal canto aspro allo sprechgesang, con struggenti frammenti lirici e simulacri di forme chiuse (duetti, terzetti). Protagonista assoluto Riccardo III (l’istrionico, tesissimo Gidon Saks) in una parte monstre, micidiale per intensità e densità di sfumature.

 

Fra gli eccellenti solisti spiccano il Buckingham grottesco di Urban Malmber, le tre figure femminili, la nevrotica Lady Anne (Annalena Persson), la dolente regina (Christina Daletska), l’altera, furente duchessa d York (Sara Fulgoni); e ancora Christopher Lemmings nel doppio ruolo di Clarence e dell’atroce, impassibile sicario Tyrrel, il Richmond timbrato di Paolo Antognetti. Tito Ceccherini dirige con precisione e sensibilità, governando con sicurezza dal podio il viluppo di gesti fisici e vocali chiesti agli artisti dalla regia e dalla partitura.

 

Lo spettacolo di Robert Carsen, uno dei più ammirati del regista canadese, è cupo e inesorabile, ma tanto vario nell’azione nel disegno delle luci da far dimenticare la scena fissa: le gradinate di un’arena colma di sabbia rossa, che a ogni scena vola in aria facendosi sangue, battaglia, grida di folla, maledizione, fiamma, riempiendo l’aria, in contrasto con il nero che inzuppa tutto il resto, scene e costumi.
Brillano solo le gemme della corona regale, minaccioso simbolo del potere, la cui presenza sinistra ,indifferente al delitto, apre e chiude l’opera. Applausi convinti per tutti, compositore compreso.