Fino ad oggi Ramin Bahrani aveva diretto solo un documentario, il corto Plastic Bag, sull’epico viaggio filosofico/esistenziale di un sacchetto da supermercato, con voice over di Werner Herzog. Nel suo nuovo lavoro di non fiction, 2nd Chance (presentato al Sundance nella sezione Premiere) il regista di White Tiger e di 99 Homes porta un’ambizione altrettanto alta e metaforica alla storia vera di Richard Davis, ex marine del Michigan, reinventatosi prima come pizzaiolo e poi – con maggior beneficio economico – come creatore e commerciante di giubbotti antiproiettile più leggeri e sicuri di quelli che esistevano prima che fondasse la sua compagnia, Second Chance, alla fine degli anni settanta.

PER DIMOSTRARE fede nella seconda opportunità che le sue creazioni offrono a poliziotti e militari, Davis ama sperimentare su sé stesso. «In cinquecento milioni di anni, Richard Davis è l’unico uomo che si è sparato nella pancia centonovantadue volte», dice Barhani all’inizio del documentario, in cui ricorre l’immagine del protagonista – visibilmente in diverse fasi della sua vita – che si punta una pistola allo stomaco e fa fuoco. Un classico imprenditore autodafé, Davis è sempre stato responsabile anche del marketing di Second Chance, che include non solo le riprese dei test su sé stesso e un innegabile istinto per l’efficacia promozionale dell’accoppiata sesso/violenza, ma anche filmini che ricreano le circostanze in cui i suoi giubbotti hanno salvato la vita a un agente, aiutato la cattura di un criminale o comunque protetto le forze dell’ordine. Il motore del suo benessere finanziario, e la crociata della sua vita, si ricompongono così in un universo parallelo di telefilm. Una narrativa da poco, semplificata, spesso (vedremo) apocrifa – un home B movie con cui Barhani evoca abilmente un immaginario. Che è un conforto e una trappola. L’«Americana» dei primi lavori di Errol Morris e la fascinazione per il paradosso umano dei documentari di Herzog si ritrovano in 2nd Chance, col rigore e il gusto quasi investigativo per le complessità da cui Barhani trae i suoi film di fiction.