Per Hermann Vaske la domanda è quasi un’ossessione: Perché siamo creativi? Negli ultimi 30 anni ha girato il mondo e rivolto questa domanda a personaggi che nulla hanno in comune, se non l’essere pubblici, da capi di stato a capi religiosi, musicisti, pittori, performer, scienziati, attori, registi. Il risultato è apparso in alcune mostre, perché Vaske si è fatto spesso documentare l’incontro con scritte e disegni e ora è diventato un documentario presentato alle Giornate degli autori: Why are we Creative?
Si comincia con David Bowie e si prosegue in una cavalcata che passa da Marina Abramovic, Arafat, Biörk, Bono, Bush sr., Dafoe, Eco, Gorbacev, Herzog, Jarmusch, Kitano (con un cappello parrucca inarrivabile), Mandela, Yoko Ono, Dalai Lama, Pussy Riot, Tarantino, Westwood e tantissimi altri ancora.

Per molti si tratta di diversificare il punto di vista più tradizionale per scoprire un approccio nuovo, inedito della realtà, per altri fa parte della vita stessa, Björk afferma che le sue canzoni o i caminetti che realizza suo nonno artigiano o quel che fanno i fratelli elettricisti sono tutti risultati di creatività solo che si esprime in modi diversi. Affascinante Jeanne Moreau che la identifica con la speranza per l’umanità intera, per il mondo, Michael Haneke sfodera una citazione che dà il sottotitolo al film in cui si dice che se un millepiedi si ponesse il problema delle sue zampe cadrebbe a faccia in giù, un po’ come Freud e Boulez con il primo che dice al secondo che con la psicanalisi potrebbe perdere la sua libertà creativa.

Ai Weiwei si limita a tracciare una riga sulla domanda che ha trascritto nel quadernone del regista e quando Vaske gli chiede di firmarlo traccia un’altra riga. Ma Vaske vuole andare oltre così arriva all’uomo che ritiene il più intelligente al mondo: Stephen Hawkins che lo liquida con grande acume e garbo, oltreché con un sorriso fantastico considerando la sua condizione fisica, regalando una frase che suona così: è molto meglio viaggiare con fiducia che arrivare.
Ognuno è libero di fare le proprie associazioni, le proprie riflessioni sulla mitragliata di pensieri che vengono sparati sullo spettatore negli 82 minuti di film, ma non sono assolutamente tempo sprecato, rimane solo il rimpianto di non poter ricordare come avrebbero meritato tutti gli interventi.