Un emendamento inserito al Dl “Rilancio” rischia di diminuire l’indipendenza della ricerca medica dalle aziende farmaceutiche. L’emendamento allenta le norme sul conflitto di interessi tra il ricercatore che valuta l’efficacia di un farmaco e l’azienda che lo produce. Finora, infatti, chi proponeva una sperimentazione clinica doveva dichiarare ad un apposito comitato etico – un organo composto per almeno un terzo da sanitari che non fanno parte della struttura che ospita la sperimentazione – di non aver alcun rapporto con l’azienda produttrice del farmaco oggetto della ricerca. Se l’emendamento verrà approvato, basterà dichiarare le relazioni con l’azienda, e sarà il comitato etico a valutare caso per caso se vi sia un reale conflitto di interessi.

Il tema è tra i più discussi nella comunità scientifica. Un ricercatore che riceva finanziamenti da un’azienda potrebbe essere spinto a valutare in maniera più favorevole un prodotto dello stesso marchio, con il rischio di validare farmaci poco sicuri o inefficaci. Per questo motivo, i ricercatori devono rendere i propri legami con le aziende farmaceutiche nelle pubblicazioni accademiche. Un vero e proprio obbligo non esiste: diversi studi mostrano che circa la metà dei ricercatori non dichiara i propri conflitti di interessi. La rigida norma sulle sperimentazioni cliniche intendeva impedire che questa prassi arrivasse a influenzare il delicato processo di valutazione dei farmaci.

L’emendamento è stato presentato da due parlamentari del Partito Democratico, Giuditta Pini e Beatrice Lorenzin. «Ma lo stiamo riformulando per giungere a una norma che metta d’accordo tutta la maggioranza, speriamo di poterlo votare all’inizio della prossima settimana – spiega Pini al manifesto – L’obiettivo è eliminare il divieto, facendo scegliere al comitato etico, in linea con il regolamento dell’Unione Europea del 2014 in materia di sperimentazioni. Vogliamo arrivare a una norma che tuteli la ricerca ma che non renda impossibile farla per molti Istituti di ricerca o università. Nel mondo della ricerca pubblica i rapporti con le case farmaceutiche sono diffusissimi. Posto che è giusto che i comitati etici siano al corrente dei potenziali conflitti di interesse, in certi casi questi divieti assoluti possono creare blocchi all’avvio delle sperimentazioni». Il problema si è fatto pressante durante la pandemia, quando ospedali e università hanno avanzato moltissime richieste di avviare sperimentazioni nella disperata ricerca di una cura contro il Covid-19.

Ora la palla passerà all’Agenzia italiana del farmaco, che proprio in questi giorni sta rivedendo il regolamento dei comitati etici: con la nuova norma saranno loro a dover mostrare la schiena dritta e a bloccare sperimentazioni in odore di conflitto di interessi. Al vertice dell’Aifa oggi c’è Nicola Magrini. Fondatore della collaborazione Cochrane Italia ed ex-ricercatore dell’Istituto Mario Negri di Milano, Magrini si è sempre dedicato alla promozione di una medicina a favore del paziente e non di interessi economici. Eppure è a favore dell’emendamento: «la norma precedente rischiava di rendere tutti potenzialmente a rischio, perché poteva escludere anche ricercatori che non percepivano finanziamenti diretti ma semplicemente lavorano in strutture che hanno rapporti con l’azienda farmaceutica, magari solo per la fornitura di attrezzature». L’Aifa però ha autorizzato moltissime sperimentazioni di farmaci durante l’emergenza pandemica. È stato necessario derogare a quella norma? «Certamente sì, abbiamo approvato sperimentazioni e protocolli e se alcuni ricercatori erano in conflitto di interessi si è data un’importanza secondaria a questo aspetto – spiega Magrini – Abbiamo dato priorità all’effettuazione della ricerca. C’era il rischio che in Italia non si potessero fare sperimentazioni e che le industrie andassero a farle altrove».