Stefano Ricci e Gianni Forte, passata la fatica del debutto e già proiettati su altri ed imminenti progetti di cui si parlerà nella conversazione, saranno senz’altro soddisfatti dei numeri e soprattutto dei consensi che hanno raggiunto le repliche del loro Nabucco al Festival Verdi. Una regia così rischiosa per come era stata impostata, distorcendo mentalmente l’azione scenica dal futuro alla nostra contemporaneità, avrebbe potuto essere superata proprio dalla cronaca. Infatti, il Nabucco sovranista che animava le anticipazioni di rito e stampa, ha lasciato il campo, con la colorata giravolta istituzionale governativa, soltanto alla protesta dei loggionisti. E se da un lato la lettura registica social-mediatico futuristica del capolavoro di Verdi ha suscitato solo rumore tra l’ortodossia verdiana che alberga nel loggione del Teatro Regio di Parma, dall’altro, battendo ogni record di presenze mai ottenuto in precedenza dal Festival Verdi, ha allo stato delle cose aperto uno squarcio nell’opera lirica da cui si spera ci sia, accanto al tornaconto economico, un indirizzo sul quale insistere nella prospettiva di un rinnovamento sia dell’offerta registica (e ovviamente musicale) sia del pubblico inteso non come soggetto unico, ma nella sua complessità categoriale. Dunque né nicchia né bue. D’altronde, la visionarietà del linguaggio scenico di Ricci / Forte è fortemente ancorato al presente e come un sismografo sempre all’erta riesce a captare e registrare anche il più inudibile movimento sociale e ad anticiparne le future mosse. Incontrati, tra una replica e l’altra del Nabucco, il dialogo che segue ha però riguardato come anticipato in apertura un altro progetto, tutto in divenire, per giunta televisivo che andrà in onda in seconda serata, «anche se ci piacerebbe portarlo in prima», su Raitre all’inizio del prossimo anno. Mentre s’affastellano nella loro «factory» altre avventure, alcune riservate e sorprendenti, altre già previste come il Donizetti del Marin Faliero che inaugurerà a Bergamo il festival dedicato al compositore.

State lavorando da qualche settimana ad un progetto tv, prima del Nabucco avete postato molte immagini della lavorazione, quasi un backstage social del programma, potete dire di cosa si tratta?

Gianni Forte. Il direttore di Raitre, Stefano Coletta, aveva in mente di fare un lavoro su di noi, sul teatro di Ricci / Forte. Lo ritenevamo troppo di nicchia, troppo settoriale. Convinti di questo abbiamo rilanciato e chiesto di poter lavorare ad un programma dove fossimo coinvolti direttamente come volti, e anche alla conduzione. Ciò è stato accolto con entusiasmo anche perché la linea di Raitre prevede all’interno del suo palinsesto una serie di programmi sul sociale condotti da volti nuovi.

E voi in un certo senso lo siete, anche se non siete digiuni di tv.

Stefano Ricci. Certamente. La trasmissione che ha per titolo Hic sunt leones si colloca a metà tra l’attitudine come detto sociale della rete e i piccoli eroi della storia presente. Sono queste persone i leoni della quotidianità, con i loro problemi, affrontati con grande coraggio. Abbiamo frequentato la tv realizzando molto tempo fa, a memoria più di dieci anni, per il canale Jimmy del bouquet dell’allora Telepiù, la sit-com a tematiche LGBT, Hot che in due stagioni un successo di rilievo lo ebbe.
Gianni Forte. Saranno cinque episodi di circa 50’, girati in presa diretta. Ne abbiamo già girati alcuni e stiamo lavorando al montaggio.
Stefano Ricci. L’esserci messi in vista e in prima persona non è stato né facile né altrettanto semplice. Io avevo dimenticato le ore di trucco, ma l’entusiasmo di lavorare con la troupe e l’aver girato in camper …

Hai così imparato a guidarlo?

Stefano Ricci. Sì, è stata un’esperienza importante e impagabile. Osservare paesi, persone, come si muove l’Italia.

Avete parlato di persone e temi, quali sono gli argomenti che tratterete in ogni puntata e quale sarà la loro struttura?

Gianni Forte. Trattiamo argomenti come la transizione di genere, la sindrome di Asperger, l’anoressia, la ludopatia e l’aids. Li trattiamo in modo estremamente delicato e accanto all’indagine in loco, con la persona che sceglie un luogo d’elezione in cui raccontare la propria storia. Tutte le persone incontrate vivono in paesi e non in grandi città e poi avviene una restituzione della loro esperienza con un gruppo di performer in una sala teatrale. È come un dono che facciamo ai protagonisti.
Stefano Ricci. Abbiamo lavorato intorno ad un format specifico in cui abbiamo previsto che all’interno del viaggio dei nostri piccoli, ma grandi, eroi ci fossero anche interviste a familiari. C’è stata prima una selezione attraverso una ricerca capillare di chi poteva avere una storia da raccontare, che affrontasse con grande consapevolezza e coscienza di sé temi non facili in un luogo caro che abbiamo chiamato «Il posto delle fragole».

Ovviamente non è casuale la citazione bergmaniana. E da come raccontate, il concept mi sembra che abbia un antecedente illustre. Tra l’altro una delle vostre maggiori ispirazioni: Pier Paolo Pasolini, cui avete dedicato uno spettacolo .

Gianni Forte. Sì, è il Pasolini di Comizi d’amore.
Stefano Ricci. La transizione di questo adolescente di 17 anni, che ha avuta riconosciuta la sua nuova identità grazie alla battaglia legale di sua madre, è raccontata in riva ad un torrente. Mentre la sindrome di Asperberg riconosciuta a 50 anni da una donna, già madre di due ragazzi autistici, ha come «posto delle fragole» un bosco. Ma c’è anche un centro commerciale, un mercato.
Gianni Forte. Questo «posto», familiare e accogliente per la persona che lo sceglie, consente di andare sull’argomento con sensibilità evitando imbarazzi comprensibili perché il primo loro pensiero è quello che le altre persone non capiscono perché non conoscono.

Dunque, la vostra è un’indagine sociale sostenuta da un’impalcatura teorica che si basa sia sulla lettura della realtà, non evitando la sua complessità e al medesimo tempo non rinunciando al moltiplicarsi visuale dei linguaggi contemporanei.

Gianni Forte. In fin dei conti è da sempre nostra prerogativa provare nuovi linguaggi e verificare ulteriori modalità e terreni di confronto per sperimentarli.