Riccardo scende dal trono, sale su una sedia a rotelle, calza una coroncina da carnevale e da un altisonante «terzo» diventa un anonimo «tre». Forse anche uno nessuno centomila. Un uomo qualunque ai giorni nostri malsani, confinato in una sorta di corsia manicomiale (il verdognolo della scena di Mela Dell’Erba lo suggerisce), come pure ci lascia intendere Francesco Niccolini che questa versione contemporanea della tragedia scespiriana – Riccardo 3. L’avversario – ha innescato sulle trame oscure narrate da Emmanuel Carrère nel suo L’avversario. Il cuore nero di Riccardo (Enzo Vetrano, un fascio di nervi ai limiti dell’epilessia) pulsa di ritrovata chiarezza. Come se l’infantilismo capriccioso di cui è preda aprisse, nella sua mente sciupata, nuovi squarci di regale consapevolezza: il senso di Riccardo per la fine è trepidante, fastidiosamente ridicolo, una fine ignota, tecnicamente indotta per iniezione letale. I suoi infermieri carcerieri, Stefano Randisi e Giovanni Moschella, che fanno tutti i personaggi principali, restituiscono il volto fumettistico della storia, ridotta a brandelli di mutilata frenesia e di farneticante, (auto)distruttivo delirio. Producono Ert, Arca Azzurra, Le tre corde. In tournée.