Gli economisti Emiliano Brancaccio, Mauro Gallegat, Riccardo Realfonzo e Antonella Stirati hanno pubblicato ieri un documento sul Financial Times dove chiedono un «piano anti-virus» per rilanciare l’economia europea.

«Pensiamo a uno sforzo coordinato tra i paesi, con finanziamento centralizzato e collaborazione tra politiche fiscali e monetarie – afferma Riccardo Realfonzo, economista all’università del Sannio – l’Italia da sola ha gravi difficoltà, soprattutto nel quadro delle regole europee. I provvedimenti per evitare la circolazione del virus sono necessari, ma l’impatto economico è disastroso. I 25 miliardi di euro stanziati dal governo non saranno sufficienti per una crisi che può farci perdere anche 4 punti di Pil. È un ordine di misura già ipotizzato in uno studio prodotto proprio dalla Commissione Europa nel 2006, nel quale si simulavano le conseguenze di una pandemia molto severa. In questa situazione, potrebbe trovarsi presto l’intera Ue. Abbiamo bisogno di una risposta forte, che preveda strumenti di cui l’Unione Europea sin qui non si è dotata».

Il Commissario Ue all’economia Gentiloni ha detto che siamo oltre la flessibilità e le regole del patto di stabilità devono adattarsi. Sarà un adattamento temporaneo, oppure questa recessione modificherà per sempre queste regole?

Sia chiaro che la flessibilità dentro le regole attuali non basta. La Commissione Ue concederà la possibilità di incrementare il deficit, derogando al principio del pareggio strutturale di bilancio. Ma in assenza di un intervento rilevante delle politiche fiscali continentali, coordinato anche con la Bce, e senza forme di controllo dei movimenti di capitale, gli oneri del debito pubblico italiano cresceranno, e saranno guai. Speriamo che il coronavirus dia una spallata al quadro delle regole europee e ci consenta di costruire un sistema più razionale, al centro del quale abbiano un posto ben diverso cose che stanno a cuore ai cittadini d’Europa, come sanità, istruzione, ambiente.

Proponete un «piano anti-virus» su scala europea. In quali settori?

Nella fase di espansione della pandemia è necessario intervenire per rafforzare le strutture sanitarie, ma anche con importanti trasferimenti di liquidità alle imprese e alle famiglie. Il rischio che si corre è il fallimento a catena delle imprese, con conseguenti difficoltà del sistema bancario. Poi serve un piano di investimenti pubblici che in primo luogo si concentri sulle infrastrutture sociali: sanità, scuola, ambiente. Solo ora molti capiscono l’errore commesso nel tagliare la sanità pubblica a vantaggio della privata, che ben poco serve in emergenze come quella attuale. Naturalmente un consistente piano «anti-virus» dovrà prevedere investimenti e politiche industriali per rilanciare il tessuto produttivo messo in difficoltà dalla rottura delle catene del valore e dalle molteplici strozzature dell’offerta.

Di quale cifra ci sarebbe bisogno?

I 25 miliardi che il governo si appresta a mettere in campo sono insufficienti. Sul piano europeo bisognerebbe fare come Obama che nel 2010 stanziò circa il 5% del Pil, in buona misura con finanziamento della Federal Reserve Bank. In Europa oggi significherebbe circa 600 miliardi di euro.

Molte polemiche ha prodotto la frase della presidente della Bce Christine Lagarde sullo spread. Il suo è stato un segnale di debolezza?

Si è capito che Lagarde è un falco, una conservatrice a capo di una banca centrale già orientata per statuto al solo controllo dell’inflazione. Ieri la Bce ha cercato di correggere il tiro e la Commissione Ue ha fatto grandi aperture sulla flessibilità. Ma noi abbiamo bisogno di ben altro. Per cominciare, occorrerebbe varare gli Eurobond, che dovrebbero essere acquistati dalla stessa Bce per finanziare il piano, e la Bce dovrebbe dare garanzie sul debito pubblico dei Paesi, arrestando la dinamica degli spread. Questo significa comportarsi da prestatore di ultima istanza.

Lagarde ha criticato i governi che non sembrano ancora avere compreso la gravità della situazione. Riuscirà dove non è riuscito Draghi: ottenere una politica fiscale da parte degli Stati?

Direi che dovrebbe riuscire a fare il banchiere centrale, per cominciare. L’Europa dovrebbe lasciarsi alle spalle gli anni dei vincoli e dell’austerità e decidersi a divenire una vera «unione» orientata agli obiettivi dello sviluppo sociale e dell’occupazione. Questo significa dotarsi di un ampio bilancio centrale, politiche fiscali e monetarie coordinate, protezione da attacchi speculativi, e un sistema di Welfare degno della sua civiltà. Se anche questa volta prevarranno approcci dogmatici, inettitudini ed egoismi, l’esperienza dell’unione monetaria rischia di volgere al termine