Nello stesso giorno in cui al Senato viene affossata definitivamente la legge Zan, anche il testo base per la legalizzazione del suicidio medicalmente assistito subisce l’ennesimo arresto nelle commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera. Il deputato Riccardo Magi, presidente di +Europa, esce dalla riunione contrariato. Ma non meno determinato. «Il parlamento è bloccato, impallato», dice. Ed anche per questo, stamattina, insieme agli altri rappresentanti del Comitato promotore, si recherà in Cassazione per consegnare le 630 mila firme raccolte a sostengo del referendum per la cannabis legale.

In commissione doveva cominciare l’esame dei 300 emendamenti al testo sull’eutanasia, cosa è accaduto?

Abbiamo avuto interventi ostruzionistici da parte di Lega, Fd’I e Forza Italia, alcuni anche di tre quarti d’ora. Dopo tre anni, dopo un pronunciamento della Corte costituzionale, l’appello al parlamento e la successiva ordinanza della Consulta sull’incostituzionalità dell’attuale norma, siamo ancora a questo punto. E siamo solo al primo passaggio parlamentare.

Un po’ quello che è accaduto anche con la cannabis legale, attorno alla quale si era perfino costituito un intergruppo.

Sulla cannabis ci sono alcune proposte di iniziativa parlamentare che operano modifiche minimali, seppur importanti, al testo unico degli stupefacenti: riduzione delle pene per i fatti di lieve entità, che in Italia 7 volte su 10 portano in carcere; legalizzazione dell’autocoltivazione domestica fino a 4 piante, come è stato fatto qualche giorno fa in Lussemburgo, ecc. Anche qui non è ancora cominciato l’esame degli emendamenti. Questi tre casi – cannabis, eutanasia e omotransfobia – mostrano l’immobilità del parlamento su questi temi, ed evidenziano l’importanza dello strumento referendario per andare avanti sul piano dei diritti.

E la sinistra che fa?

La sinistra paga le conseguenze dello scarso coraggio dimostrato. Della timidezza, dell’incertezza, della remissività. Così rischia di non essere neanche individuata come il fronte politico progressista e riformatore su questi temi. Per quanto riguarda il Pd, poi, Letta non è riuscito neppure a prendere una posizione sulla cannabis. Ha detto che ci devono pensare. Ecco, credo sia preoccupante che una grande forza che si definisce riformatrice e progressista non abbia un’idea forte su un enorme tema sociale come questo, che tocca tutti gli ambiti di azione del governo: giustizia, carceri, salute, politiche giovanili, lotta alla criminalità, e pure la possibilità di creare un nuovo settore produttivo con risvolti economici importanti.

In molti Paesi del mondo è già accaduto. Siamo in ritardo?

Sì, molto. Dal Canada agli Usa, dalla Spagna alla Germania, dal Lussemburgo a Malta: sono tante le democrazie che si sono accorte del fallimento della strategia utilizzata finora ed hanno capito che è venuto il momento di cambiarla. Il caso della Germania è significativo, perché questa riflessione avviene con un’elaborazione tutta interna ai partiti. Da noi la via referendaria intrapresa ha trovato una risposta quasi commuovente da parte dei cittadini ed ha mostrato tutta la distanza tra i partiti e il sentire della popolazione.

A proposito di «attenzione alle periferie», diventato ormai il luogo comune della politica: che impatto ha l’attuale legislazione delle droghe sulla vita in periferia?

Interi territori sono sotto il controllo delle organizzazioni criminali che, grazie al mercato degli stupefacenti, producono anche welfare. Il mercato illegale di sostanze ha un indotto calcolato dal governo italiano in circa 16 miliardi di euro l’anno, di cui il 40% è della cannabis, che è la più diffusa in Italia, con più di 7 milioni di consumatori abituali stimati.

Tra un mese ci sarà finalmente a Genova, dopo 12 anni anziché tre, la Conferenza nazionale sulle droghe. È soddisfatto?

È un fatto positivo. Però dalla ministra Dadone esigiamo che al centro di questa conferenza si mettano i fatti: le carceri riempite di detenuti per reati di droga, con il conseguente sovraffollamento, è un fatto. Ed è un fatto che nonostante questo, l’uso delle droghe non sia diminuito. Invece l’impostazione della conferenza rischia di essere incentrata sulle dipendenze, sull’aspetto terapeutico e repressivo. E non sugli effetti delle norme, come richiesto dalla stessa legge affinché il parlamento abbia appropriati strumenti conoscitivi. Pino Arlacchi nel 1998 prometteva di eliminare la droga nel giro di 10 anni. Ora il mercato delle droghe è cresciuto il doppio di quanto sia aumentata la popolazione mondiale. Vogliamo ragionare su questi dati? E vogliamo ammettere finalmente che non esiste solo l’abuso e la dipendenza? Vorremmo evitare che la conferenza sembri ferma a trent’anni fa.