A una prima occhiata sembrano innocui tappeti dai colori sgargianti, anche di piccolo formato adatti alla preghiera, ma basta uno sguardo poco più attento per capire che quelle opere realizzate con grande cura da artigiani afghani raccontano una storia, lanciano un messaggio di denuncia.

Un grido contro la guerra e le occupazioni che hanno segnato il paese. I nodi intrecciati sapientemente raffigurano mappe geografiche, kalashnikov, carri armati, aerei, missili, elicotteri, bombe a mano. Ci sono scritte in arabo, date, sigle, simboli, fra cui anche falce e martello. Una lunga tradizione per una forma artistica nata negli anni ’70 in Afghanistan, ancor prima dell’invasione sovietica del 1979.

I tappeti di guerra rappresentano tuttora una chiave di lettura per comprendere la travagliata storia di quest’area geopolitica che ha vissuto anche una sorta di primavera quando è stata attraversata da artisti e intellettuali negli anni in cui gli hippy andavano verso l’India per un viaggio di scoperta spirituale ed esistenziale. Tappeti di Guerra. Arte contemporanea dell’Asia Centrale è il titolo della singolare mostra in corso alla galleria Spazia di Bologna, curata da Enrico Mascelloni, fra i massimi esperti del genere, aperta fino a fine gennaio. Sono esposti esemplari di alta qualità realizzati negli anni ’70, ’80 e ’90. Spicca tra i tanti manufatti esposti, una mappa prodotta oltre quarant’anni fa da un gruppo di donne in più di otto mesi di lavoro. In mostra, ci sono una trentina di opere in totale, comprese alcune di più scarsa manifattura – quelle recenti – ma scelte ugualmente perché utili nel consegnare la complessità di un fenomeno artistico ancora molto attuale. «Questa forma d’arte – spiega Marco Bottai, fondatore della galleria Spazia – ha influenzato diversi artisti italiani molto noti, come Alighiero Boetti e Aldo Mondino, solo per citarne alcuni».

Proprio Boetti realizzò i suoi arazzi in Afghanistan, lì creò le sue mappe grazie al lavoro di esperte ricamatrici. Fra i tappeti in mostra non passa inosservato quello che rappresenta un uomo: si tratta di Amanullah Khan, sovrano dell’Afghanistan fra il 1919 e il 1929. Una figura che, una volta scoperta tra le trame intessute, non può non affascinare. Considerato il re riformista, fu lui a portare il paese all’indipendenza dagli inglesi e a promulgare nel 1921 la prima Costituzione in cui si garantiva, senza distinzioni, l’eguaglianza dei diritti per uomini e donne.

Durante il suo regno, grazie anche al contributo della moglie Soraya, mise al centro la questione dei diritti delle donne. Curioso apprezzare manufatti realizzati in Afghanistan, principale paese di provenienza di questa forma artistica e considerato stato canaglia dagli Usa, e dal Pakistan, definito una culla per l’addestramento dei terroristi. Arriva proprio da quelle terre un tappeto che rappresenta il momento esatto dell’impatto degli aerei contro le torri gemelle nel 2001.

È anche dopo l’intervento militare americano che questa particolare produzione di tappeti ha avuto nuovo impulso: «Persino l’iconoclastia talebana tollera la sua rappresentazione. Dopo il 2001 si assiste ad una proliferazione senza precedenti anche se la qualità è sempre più scadente», spiega il curatore Mascelloni autore del catalogo edito da Skira War Rugs. The Nightmare of Modernism.