Klaus Johannis, professore di fisica di 55 anni di origini tedesche, è il nuovo presidente della Repubblica di Romania. Prende il posto di Traian Basescu il cui doppio mandato scadrà il 21 dicembre. Johannis, sindaco di quella Sibiu già capitale 2007 delle cultura europea e leader del Partito Nazional Liberale, ha battuto al ballottaggio il socialdemocratico ed attuale primo ministro Victor Ponta, conquistando il 54.5% delle preferenze contro il 45.5% del premier, dopo che quest’ultimo aveva chiuso in testa il primo turno con ben dieci punti di vantaggio (40% contro il 30%). Nessun errore, avete letto bene.

Anche Renzi ci ha messo la faccia

Il leader socialdemocratico, la cui candidatura è stata appoggiata anche da Matteo Renzi, che giovedì scorso era ospite a Bucarest per aprire in diretta tv il terzo faccia a faccia mediatico tra i due candidati, ha perso ben 18 punti percentuali. In sole due settimane, non è poco.

Come si spiega il suicidio politico di Ponta? L’arroventato (non) voto dei rumeni della diaspora nel primo turno, aveva destato severe reazioni internazionali ed indispettito non solo chi, all’estero, non aveva potuto votare dopo ore di coda alle ambasciate per una pessima organizzazione dei seggi; ma anche chi, in Romania, aveva fiutato l’insano tentativo di una volontaria manovra governativa per impedire ai rumeni all’estero di indirizzare il proprio voto al centro-destra.

La vicenda ha costretto alle dimissioni Titus Corlatean, il cui posto al ministero degli Esteri è stato preso dall’esperto Teodor Melescanu. Dopo il passaparola sui social network, i manifestanti hanno inscenato una protesta spontanea per chiedere trasparenza nel voto dei romeni della diaspora ed hanno invitato i meno appassionati a precipitarsi alle urne per ‘riprendersi il paese’. L’onda, che ha portato alle urne il 63% degli elettori (dieci punti percentuali in più rispetto al primo turno chiuso poco sopra il 53%) è stata così forte che ha letteralmente travolto Ponta. Nonostante le condizioni di voto all’estero non siano state degne di un sistema democratico (a Parigi e a Torino tantissimi votanti in coda dalla mattina sono stati dispersi con i gas lacrimogeni e non sono riusciti a votare). Un’altra figuraccia per la socialdemocrazia europea (e anche Renzi ci ha messo la faccia).

Ora a Bucarest si ripropone il nodo della coabitazione tra esecutivo e presidenza della Repubblica che tanto male ha fatto alla governabilità della Romania (una repubblica semi-costituzionale sul modello francese in cui il presidente ha chiari poteri decisionali) nell’ultimo anno e mezzo, quando il giovane Victor Ponta, delfino dell’ex premier Adrian Nastase (condannato ed incarcerato per due anni e mezzo fra le altre cose, per corruzione e finanziamento illecito dei partiti), aveva dovuto condividere il potere con il presidente Basescu, assai poco accomodante con i suoi avversari. Adesso Ponta dichiara di non voler rassegnare le dimissioni, a meno che non siano i membri del suo governo a chiederglielo e di voler avviare il dialogo con il presidente per il bene del paese (già visto e sentito, come quando fu incaricato di risolvere la crisi del governo Boc dando vita, lui uomo di sinistra, ad un’improbabile intesa con conservatori e liberali!).

Johannis assumerà l’incarico ufficialmente il 22 dicembre. Fino ad allora, avrà tutto il tempo di intavolare trattative con l’attuale governo e proporre un rimpasto che miri a rendere migliore il rapporto tra le due principali istituzioni della Romania.

All’ombra della crisi economica, che si sente anche qui. Riforma della giustizia, giusto sfruttamento dei fondi strutturali europei, crescita, ripianamento del debito pubblico: ecco i principali temi sui quali, come da promessa elettorale, dovrà lavorare Johannis nel prossimo quinquennio. Governo permettendo.