Cultura

Ribaltare lo sguardo riduzionistico

Ribaltare lo sguardo riduzionistico

SCAFFALE A proposito di «Femminismo Terrone», di Claudia Fauzia e Valentina Amenta per Tlon

Pubblicato 14 giorni fa

Il margine, la periferia, il Fuori, come «luogo di possibilità e spazio di resistenza» scriveva bell hooks in uno dei testi di riferimento del femminismo intersezionale, Elogio del margine (1998), tradotto in Italia da Tamu. Da questa consapevolezza parte la recente uscita Femminismo Terrone di Claudia Fauzia (conosciuta con il suo alias @lamalafimmina) e la ricercatrice Valentina Amenta. Nelle librerie dal 25 Settembre per Tlon (pp. 164, euro 15,20), il saggio analizza il cosiddetto «Meridione» come un luogo ai margini conosciuto fino a ora solo attraverso l’occhio nordico (il North Gaze). «Il Sud» viene visto e interpretato, oltre a non distinguere tra le differenze regionali come se fosse un unico blocco, con superiorità di fronte a presunte arretratezze culturali e tecnologiche o con forme di romanticizzazione della quotidianità semplice e contadina (#vita lenta). Il saggio tenta di ribaltare questa visione attraverso uno sguardo diverso, in cui il «femminismo terrone» mette in mano i microfoni alle soggettività donne del Sud.

«Cosa accade quando la sessualizzazione incrocia l’antimeridionalismo?» si chiedono le autrici. Il risultato sono dei livellamenti di potere perpetrati dai grandi classici della cultura, come Il postino di Michael Radford in cui si dice che «L’isola è questo: mare e pesci»: irrimediabile, fissa, omogenea. O Malena, di Tornatore, dove la protagonista ricopre l’agognato ruolo di «focosa donna abbondante del Sud», «fecondità prorompente» e imbrigliata dalla morale fascista di riproduttività. Nella riduzione degli schemi con cui si descrive una persona meridionale questa può essere solo «santa o puttana», e abitare la propria Terra per il bel mare o per la mafia. Nessun’altra via d’uscita. «Questa dinamica ricorda il funzionamento della norma eterosessuale, che fa si che a una coppia di donne venga chiesto chi fa il ruolo dell’uomo e chi della donna, come se questi ruoli fossero un prerequisito necessario all’esistenza di relazioni amorose» scrivono le autrici. Lo stesso avviene per una meridionale, sia in quanto donna, sia in quanto nata al Sud, per cui non è possibile immaginarla in altre vesti se non quelle stereotipate, minando la liberazione della sua identità.

Se, come difendono le autrici, «le rappresentazioni ci danno la misura di ciò che possiamo essere» è necessario raccontare tutto il resto. Fauzia e Amenta restituiscono le storie di persone come Maria Occhipinti, Franca Viola e Nino Gennaro, ma anche movimenti plurali come il Collettivo Femminista di Cinisi. Delle «contro – memorie», delle esperienze di vissuti resistenti ai domini borbonici, mafiosi e capitalisti, che la storia moderna trascura. «Il Meridione, in quanto spazio ai margini del potere, non solo ha la potenzialità di generare narrazioni resistenti, ma può condurre a un radicale ripensamento delle categorie della modernità eurocentrica. Si tratta di rendere il Sud un soggetto capace di autodeterminarsi, partendo dalla valorizzazione del proprio passato per immaginare un futuro che fiorisca dalle proprie radici».

La missione del femminismo terrone diventa così per le due autrici, ma non solo, quella di riconoscere l’agentività (dall’inglese agency cioè la possibilità di un gruppo di autodefinirsi) delle persone meridionali. Questo libro è utile alla missione ripercorrendo in quattro capitoli sia la decostruzione storica dell’antimeridionalismo che la sua cassetta degli attrezzi «il compito del pensiero femminista decoloniale applicato al Meridione passa attraverso lo studio della lingua e l’invenzione di parole nuove».

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