Con la storica distensione nelle relazioni tra Stati uniti e Cuba – per ora solo come dichiarazione d’intenti del presidente Usa, aspettando a febbraio l’inevitabile opposizione dei Repubblicani in maggioranza nelle due Camere Usa – nel 2015 che si pare potrebbe toccare all’Iran. Il primo a crederci è proprio il presidente Usa, Barack Obama che non esclude la possibilità che gli Stati uniti possano riaprire la loro rappresentanza diplomatica in Iran. In un’intervista alla Radio pubblica (Npr), Obama ha citato il nuovo corso con Cuba «che non costituisce più un pericolo», mentre l’Iran «è ancora un paese che ha appoggiato i terroristi», auspicando comunque che faccia da apripista perché venga raggiunto il tanto atteso accordo sul nucleare iraniano, entro il prossimo giugno. La storica intesa, qualora accadesse davvero _ Obama ha detto un prudente e possibilista «mai dire mai» – potrebbe gradualmente mettere fine alle sanzioni internazionali che colpiscono duramente il popolo iraniano. Così Obama potrebbe chiudere in un sol colpo trentacinque anni di isolamento internazionale della Repubblica islamica e segnare il suo principale successo in politica estera.

Il nuovo corso potrebbe arrivare sulla scia della cooperazione indiretta tra i due vecchi «nemici» nella lotta contro i jihadisti dello Stato islamico (Isis) in Iraq e per il pragmatismo dimostrato dall’Iran nella gestione della crisi afghana. Secondo il Washington Post, il coinvolgimento militare iraniano in Iraq, sebbene ufficialmente non coordinato con gli Usa, è cresciuto esponenzialmente negli ultimi mesi. Il ruolo centrale di Tehran nella gestione della crisi irachena è stato confermato anche dall’uccisione, pochi giorni fa, del comandante delle Guardie rivoluzionarie, Hamid Taqavi, morto nella città di Samarra mentre svolgeva una missione di consulenza militare ai soldati dell’esercito regolare iracheno, impegnati nella guerra contro Isis. Dallo scoppio della crisi, la scorsa estate, Tehran avrebbe mandato oltre mille consulenti militari in Iraq e unità scelte dell’esercito; ha condotto attacchi aerei mirati e ha speso oltre un miliardo di dollari in aiuti militari a sostegno del fragile esercito del suo vicino. Non solo, il governo iracheno è sempre più dipendente dalle milizie volontarie sciite per il mantenimento della sicurezza.

Nonostante questi segnali di apertura in politica estera, in Iran non si ferma la repressione del movimento riformista. Le università iraniane sono state attraversate negli ultimi giorni da nuove contestazioni, dopo le proteste del 2009 contro la rielezione dell’ex presidente Mahmud Ahmadinejad. Questa volta i giovani iraniani hanno contestato le accuse mosse dall’editore del quotidiano conservatore Kayhan. In un suo discorso all’Università di Tehran, Hossein Shariatmadari aveva accusato i leader riformisti di aver convinto l’Occidente a imporre le sanzioni contro l’Iran. I contestatori hanno chiesto invece la liberazione di Mir Hussein Mousavi, il leader riformista agli arresti domiciliari dal 2011 e hanno accusato il direttore di Khayan di diffondere false accuse. Anche l’ex ufficiale, Ezatollah Zarghami ha duramente criticato Mousavi, definito il più pericoloso tra i leader del movimento verde.

Il presidente moderato Hassan Rohani aveva promesso più ampie libertà all’interno degli atenei, favorendo il ritorno dei dirigenti accusati di coinvolgimento nelle proteste del 2009. In realtà le aperture promesse da Rohani hanno incontrato la dura opposizione del clero conservatore. Anche il nuovo partito riformista Neda (che in persiano fa riferimento ad una «Seconda generazione di riformisti»), approvato dal ministero dell’Interno all’inizio di dicembre, ha subito arresti e minacce. Il gruppo è guidato da Sadeq Kharazi, diplomatico di lungo corso, consigliere di Mohammed Khatami, composto da 12 politici e vicino a giovani riformisti e politici di Mosharekat (Partecipazione), il movimento fondato dall’ex presidente. Kharazi aveva più volte fatto riferimento alla partecipazione del gruppo alle prossime elezioni parlamentari e all’obiettivo di raccogliere i voti della classe media per colmare il vuoto lasciato dai limiti imposti ai riformisti iraniani dopo il 2011. Le autorità iraniane hanno disposto invece l’arresto di tre esponenti del partito Neda. Il portavoce del nuovo gruppo riformista, Hassan Younessi ha negato che gli arresti fossero collegati alle attività del partito. Younessi ha assicurato poi che Neda opera nel quadro della legge. I guai per il gruppo sono arrivati, in particolare, dopo i commenti del comandante della Guardia rivoluzionaria iraniana, Gholamhossein Gheybparva che ha definito i riformisti «impuri» e ha accusato il parlamentare Ali Motaharri di proteggere i leader riformisti in prigione.