«Sei alla guida dell’Iraq del nord, hai soldi, benessere e ogni cosa, hai il petrolio…Eppure ti sei gettato nel fuoco ma questo fuoco ci sfiorerà soltanto e farà molto male ad altri». Ieri in attesa dell’arrivo ad Ankara dell’alleato Vladimir Putin, il leader turco Recep Tayyip Erdogan ha anticipato quale sarebbe stato l’argomento al top dell’agenda del summit con il presidente russo: l’indipendenza dall’Iraq espressa dai curdi iracheni con il referendum di lunedì. E l’ha fatto indirizzando i propri strali contro il presidente curdo iracheno Massud Barzani. «Con 350 km di confine con la Turchia hai discusso (dell’indipendenza curda) con noi. No. L’hai discussa con l’Iran? No. Con lo Stato iracheno? No. E la Siria è d’accordo? No. Amministrare uno Stato prevede capacità diverse da quelle di un leader tribale», ha rincarato la dose Erdogan lanciando un avvertimento agli «attori della regione». La Turchia, ha detto, fermerà «il tentativo di divisione dell’Iraq. Questa volta – ha concluso – i nuovi Lawrence (d’Arabia) non ce la faranno».

Che la Turchia fosse la nemica più accanita dell’indipendenza curda è cosa nota. Tuttavia il passo fatto da Barzani ha dato fuoco alle polveri della rappresaglia, ad ogni livello, di Ankara che non esclude di poter usare anche la forza. Per ora Erdogan adotta sanzioni economiche. Il governo turco ha acconsentito alla richiesta di quello iracheno di passare sotto il controllo delle autorità centrali di Baghdad le esportazioni di petrolio dal Kurdistan, finora gestite direttamente dai curdi attraverso un oleodotto che collega la regione alla Turchia. Erdogan inoltre ha ordinato l’interruzione del programma di addestramento dei peshmerga, iniziato nel 2014. Misure che si aggiungono all’isolamento del Kurdistan iracheno. Tutti i voli stranieri da e per Erbil saranno sospesi a partire da oggi su ordine del governo di Baghdad. In queste ore dozzine di stranieri stanno cercando di imbarcarsi sugli ultimi voli disponibili a Erbil.

A dare a modo suo un saluto a Vladimir Putin in viaggio per la Turchia è stato ieri anche il capo dello Stato Islamico, Abu Bakr al Bagdadi, dato per morto più volte e che invece dimostra di avere sette vite ed è intenzionato a proseguire la sua sanguinosa battaglia. «Vi basta Allah, vostra guida e partigiano” è il titolo del messaggio audio che il Califfo indirizza ai suoi seguaci demoralizzati per le pesanti sconfitte subite in Iraq e Siria. «Gli americani, i russi e gli europei sono terrorizzati dagli attacchi dei mujaheddin» (i combattenti islamici) proclama al Baghadi aggiungendo che ora «i nordcoreani hanno cominciato a minacciare l’America e il Giappone con la loro potenza nucleare». Un riferimento che sembra indicare come recente la registrazione dell’audio, postato sulla piattaforma social Telegram e ripreso, come altri in passato, dal sito d’intelligence SITE. Nell’audio si sente Al Baghadi affermare, in riferimento al farsi da parte degli Usa e al ruolo da protagonista della Russia in Siria, «Ed è cio che è successo nell’incontro di Astana da cui è emersa la debolezza degli Stati Uniti che non hanno avuto alcuna voce nell’assegnazione dei nuovi territori tolti a Daesh (Isis)». Al Baghdadi parla anche delle zone di de-escalation in Siria decise da Russia, Turchia e Iran, governo di Damasco e rappresentanti dell’opposizione siriana la scorsa estate.

Di zone di de-escalation e altri sviluppi in Siria, oltre alla questione del referendum curdo in Iraq, hanno discusso ieri Erdogan e Vladimir Putin in un vertice che ha stretto ancor di più l’alleanza strategica tra Russia e Turchia. Nei giorni scorsi, ad Astana, Russia, Turchia e Iran – i tre Paesi garanti degli accordi di tregua in Siria – hanno deciso di proclamare zona di de-escalation anche la provincia siriana settentrionale di Idlib, che resta sotto il controllo dei qaedisti di Hay’at Tahrir as Sham. Damasco da parte sua, attraverso il ministro degli esteri Walid Muallem, ha fatto sapere di essere favorevole alla partecipazione, come osservatori, di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Iraq e Cina ai futuri colloqui nella capitale del Kazakistan. Putin ed Erdogan hanno affrontato anche la vicenda dei missili S-400 di cui Ankara intende dotarsi. Erdogan ha respinto seccamente le critiche degli Usa e dei Paesi occidentali sull’acquisizione turca del sistema antiaereo russo. «La Turchia, come membro della Nato, continuerà a realizzare il suo apparato di difesa», ha detto perentorio nelle scorse settimane il leader turco, aggiungendo che Ankara «prenderà le misure necessarie per garantire la sua sicurezza». La Turchia è il primo paese della Nato a dotarsi di un sistema strategico non integrabile nella rete di difesa missilistica dell’Alleanza. Secondo gli esperti, con l’acquisizione degli S-400, Ankara dovrà mettere a disposizione dei tecnici russi i codici dei missili statunitensi e di altri sistemi Nato, come radar e sistemi di trasmissione dati. Per questo lo scorso luglio il portavoce del dipartimento della difesa Usa, Jeff Davis, manifestò forte preoccupazione per l’acquisto da parte della Turchia di tecnologia in conflitto con le armi utilizzate dall’Alleanza atlantica.