Salvini esce soddisfatto dal colloquio con Draghi e dopo la conferenza stampa del premier conferma l’impressione positiva. Il tentativo di mettere sotto tiro il ministro Speranza in realtà è stato respinto seccamente. Draghi ha piuttosto dato ascolto a Pierluigi Bersani, che qualche ora prima gli aveva chiesto espressamente di chiarire che la posizione del ministro della Sanità è quella dell’intero governo, per fermare la raffica di attacchi. Salvini ci prova comunque: «La posizione di Speranza non è scientifica ma ideologica. Il rosso ideologico non va bene». La replica però è secca e la illustra lo stesso Draghi: «A Salvini ho detto che Speranza l’ho scelto io e ne ho molta stima».

SULLE APERTURE IL PREMIER ha concesso al capo leghista molto nei toni e quasi niente nel concreto. «Le prossime settimane devono essere di riaperture e non di chiusure. Però in sicurezza», assicura. Ricorda che nel decreto in vigore c’è un passaggio preciso che indica la possibilità di riaprire in anticipo se ce ne saranno gli estremi, cioè se i dati lo permetteranno. Ma quell’anticipo al 20 aprile delle riaperture chiesto sia dal capo leghista che dai presidenti di Regione il premier non lo cita, e tanto meno si espone sull’altra richiesta di Salvini, l’apertura serale dei ristoranti anche in zona gialla: «Una data non posso darla. Dovrei sapere ora quali saranno i dati, l’andamento dei contagi e dei vaccini. È chiaro che nelle Regioni in cui le vaccinazioni degli anziani e dei più fragili sono più avanti sarà più facile».

È UNO SPIRAGLIO e forse qualcosa in più lasciato ai presidenti di Regione e a Salvini, che aveva segnalato, dati alla mano, come oggi i parametri del contagio consentirebbero di riaprire in sei Regioni. Il punto è che non sono più quelli i dati a cui guarda il governo e Draghi, se non lo dice apertamente, lo fa capire molto chiaramente. Tutto dipende dalla capacità di vaccinare tutti gli ultraottantenni e «gran parte» degli ultrasettantenni: la formula «in sicurezza» si traduce così. Una volta raggiunto quel risultato le riaperture arriveranno automaticamente. È nell’interesse di tutti e anche dei conti pubblici: «Il miglior sostegno non sono gli aiuti. Sono le riaperture».

Ma questa per ora è solo una previsione ottimistica. Qualcosa in più di un semplice auspicio. Molto meno di una certezza. Certo è invece che per ora di sostegni ci sarà ancora bisogno e il prossimo scostamento di bilancio, che arriverà la settimana prossima o nei primi giorni di quella successiva insieme con il Def, e poi il nuovo decreto saranno molto sostanziosi, certamente più di quel che Draghi prevedeva all’inizio. Il premier non quantifica ma già annuncia che il dl sarà più corposo di quello precedente. Dunque almeno 35 miliardi, probabilmente di più. Salvini, ieri, ne ha chiesti 50. Forse il governo non arriverà a tanto ma neppure se ne allontanerà troppo. Sulla proroga del blocco dei licenziamenti fino a ottobre per tutti chiesta Landini però Draghi non si smuove e conferma le scelte dell’ultimo dl. L’allungamento della proroga riguarda ormai il parlamento, non più il governo.

AL PRIMO POSTO nell’agenda delle riaperture restano comunque le scuole: «L’obiettivo è almeno un mese in presenza per tutti prima della fine dell’anno scolastico. Se mettiamo in sicurezza genitori e nonni possiamo riaprire». Traguardo essenzialmente simbolico ma non per questo secondario perché il premier appare consapevole di quanto la sfida, oggi, consista anche se non soprattutto nel restituire fiducia a una popolazione sfibrata e delusa. Dunque Draghi mostra un certo ottimismo anche sulla stagione turistica: «Garavaglia dice il 2 giugno? Chissà, forse anche prima. Non diamo per persa la stagione turistica e dobbiamo far sapere che siamo pronti ad accogliere chiunque abbia il certificato vaccinale». Quindi informa di aver già chiesto al ministro del Turismo «di predisporre un piano per la riapertura di fiere ed eventi. Ce ne sono tanti…».

ANCHE SE IL TEMA della conferenza stampa è la pandemia in tutti i suoi aspetti, non possono mancare due accenni ai temi internazionali che hanno surriscaldato la cronaca in questi giorni. Quello che riguarda direttamente Mario Draghi, i suoi incauti ringraziamenti alla Libia: «Sono consapevole di essere stato criticato ma siamo gli unici ad avere corridoi umanitari con la Libia e al premier libico ho ribadito che siamo preoccupati per i diritti umani e orientati al superamento dei centri di detenzione». Poi quello che invece ha toccato Ursula von der Leyen: «Mi dispiace molto per l’umiliazione subita dalla presidente della Commissione. Erdogan è un dittatore di cui si ha bisogno. Con questi ’dittatori’ bisogna essere franchi ma anche pronti a cooperare nell’interesse del Paese». Perché di qualunque argomento si tratti, la chiave di Mario Draghi resta sempre la stessa: il pragmatismo.