Non è finita ed è meglio abituarsi all’idea che non finirà. Il braccio di ferro sulla gestione della pandemia è destinato a proseguire, senza mai arrivare a una rottura ma senza neppure mai raggiungere una vera tregua. La parola definitiva di Draghi su quell’ora in più o in meno di coprifuoco non è bastato.

Nel varco aperto da Salvini con il suo rifiuto di votare il decreto senza il posticipo dell’orario di chiusura e l’agibilità dei ristoranti anche all’interno si è infilato ieri il grosso dell’armata: Fedriga, il presidente leghista del Friuli e della Conferenza Stato-Regioni, apre le ostilità appena sveglio, convocando una riunione straordinaria della stessa Conferenza per il pomeriggio: «Si è incrinata la leale collaborazione con lo Stato. Il cdm ha cambiato l’accordo raggiunto con le Regioni e non era mai successo».

IN REALTÀ METÀ dell’accusa rivolta al governo è proprio il non aver cambiato l’accordo, almeno quello raggiunto in cabina di regia, sulla permanenza del coprifuoco alle 22. L’altra metà riguarda invece l’aumento della soglia minima in presenza degli studenti nelle regioni giallo e arancio: dal concordato 60% al 70%.

I presidenti delle Regioni e delle Province autonome, nella stragrande maggioranza, concordano e aggiungono la loro protesta a quella di Fedriga. Scrivono a Draghi, di fatto chiedendo un incontro prima che il decreto entri in vigore anche se la formula di cortesia dice «disponibilità a un incontro ulteriore e urgente ove il governo lo ritenesse opportuno».

Dopo essersi detti «amareggiati» e aver alluso a una violazione della Costituzione, sciorinano l’elenco di richieste: ristoranti operativi sia al chiuso che all’aperto, ripresa degli allenamenti individuali nelle palestre dal 26 aprile, programma per le riaperture delle piscine al chiuso e del settore nozze, anticipo della data di ripresa dei parchi a tema. E naturalmente posticipo del coprifuoco.

FORZA ITALIA, POCO combattiva in cdm anche perché lì siedono solo rappresentanti dell’ala moderata, alza ora i decibel: «Mantenere l’orario del coprifuoco è un passo indietro. Auspichiamo una rivalutazione in tempi brevissimi», attacca la capogruppo Bernini. Salvini è più rumoroso: «Le Regioni fanno bene a lamentarsi. Il nostro obiettivo è la libertà». Quindi ingaggia una zuffa da osteria con Franceschini sulla stagione dell’Arena di Verona. «È a rischio», attacca il leghista.

«Anche se non lo fa votare potrebbe farsi spiegare il decreto. C’è la possibilità di derogare al limite dei mille spettatori», replica ruvido il ministro. Botta e risposta: «Franceschini nemmeno si ricorda quello che ha votato. Il coprifuoco alle 22 impedirebbe qualsiasi evento e la deroga al tetto degli spettatori deve poter essere decisa solo dalla Regione Veneto». Tra alleati di questi tempi va così.

DAL PUNTO DI VISTA materiale la tempesta è superabile. Draghi ha tenuto duro sul coprifuoco soprattutto perché convinto che le riaperture debbano essere graduali per evitare che suonino come un «liberi tutti». Ma la ministra Gelmini ha già chiarito che «il coprifuoco non durerà fino al 31 luglio. Ci sarà un check su tutte le misure ogni due settimane, il primo a metà maggio». Se la curva sarà in discesa, ma non è detto, quell’ora di coprifuoco in meno arriverà a quel punto. E anche sulle scuole la ministra assicura che sul 70% in presenza «le Regioni potranno derogare».

MA SE OSSERVATA con le lenti della politica la situazione è meno facilmente resolubile. La Lega non ha nessuna intenzione di uscire dalla maggioranza. Salvini lo ha ripetuto anche ieri: «Resteremo assolutamente nel governo. La nostra fiducia è a Draghi non ai chiusuristi o ai pauristi». Mercoledì i leghisti non voteranno la mozione di sfiducia contro Speranza anche se probabilmente molti diserteranno l’aula in modo che il margine a favore del ministro appaia esiguo.

Però insisteranno nel tenere governo e maggioranza sotto stress continuo, anche (ma non solo) perché devono reggere la concorrenza dura con Giorgia Meloni. L’altra metà della maggioranza un po’ è davvero con i nervi a fior di pelle per la guerriglia leghista e un po’ sogna uno strappo di Salvini che lascerebbe in piedi solo la agognata «maggioranza Ursula». La corda di Draghi è robusta, ma sottoposta a una tensione di questo tipo potrebbe finire per sfilacciarsi.