Sono arrivati in tanti, da tutta la Calabria e oltre, per sostenere il sindaco di Riace, Mimmo Lucano. La procura di Locri lo indaga per «abuso d’ufficio, concussione e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche in relazione alla gestione del sistema di accoglienza».

Lui ha lo sguardo indignato ma sicuro delle proprie ragioni. E si commuove davanti all’affetto di tanti compagni: «Ciò che dirò in procura martedì prossimo, lo dico adesso a voi. Ribadisco la piena fiducia nel lavoro dei magistrati». Poi racconta l’inizio di quello che oggi è definito il modello di accoglienza Riace.

Cominciò tutto nelle famiglie riacesi che ospitavano i profughi, in modo spontaneo. «Io sono partito una ventina d’anni fa, con i miei ideali, quando ho conosciuto Dino Frisullo e la causa curda», spiega Lucano ripercorrendo le tappe che hanno portato all’apertura del fascicolo da parte della procura.

«C’è stata – prosegue – un’attività di monitoraggio nel luglio 2016 che ha messo in evidenza delle irregolarità burocratiche. Dopo pochi giorni abbiamo ricevuto un’altra visita ispettiva da parte dei funzionari della prefettura di Reggio Calabria. E nonostante noi lo abbiamo richiesto diverse volte, non ci è stato mai fornito l’esito di questa ispezione».

Eppure finì sul tavolo di un cronista de Il Giornale che – aggiunge il sindaco – «la usò per denigrare il nostro operato. Persino Forza Nuova e Fiamma Tricolore misero mano a quella relazione, quando vennero a manifestare qui contro di noi».

Il rapporto con la prefettura rimane in effetti ancora pieno di ombre. Non potrà mai recepire la dimensione umana dell’accoglienza. «Quella dimensione che non può scadere dopo 6 mesi, come prevederebbe la normativa», precisa il primo cittadino con riferimento a una delle contestazioni che gli vengono mosse: l’utilizzo dei fondi a sostegno di migranti non più ospitabili perché i progetti sancirebbero il loro allontanamento alla scadenza dei 6 mesi. Eppure sono ben 80 le persone che lavorano nei progetti, più altre 14 dopo la creazione di un asilo nido multietnico.

«La nostra è un’economia diffusa in cui è difficile per le mafie avere un controllo perché è coinvolto tutto il territorio. E a proposito, mi piacerebbe vedere le carte relative ai controlli sulle strutture di Isola Capo Rizzuto e Crotone», attacca Lucano, precisando che i suoi familiari “sono stati costretti ad andare via per cercare lavoro altrove, mentre sul mio conto corrente io possiedo solo 500 euro».

Per quanto riguarda la questione dei bonus, rivendica la correttezza del suo operato: «Serviva una moneta locale per l’accesso ai servizi sul territorio locale». Gli sembrava infatti assurdo che profughi sfuggiti alla guerra dovessero pure subire i ritardi della burocrazia italiana nell’erogazione dei fondi.

«Sono più innamorato della giustizia che della legalità», chiosa il primo cittadino, denunciando i limiti di una legalità strabica, che spesso autorizza delle grandi ingiustizie sociali ma non riconosce diritti elementari.

«Che cosa potrei raccontare ai miei figli ed a tanti compagni venuti qui da altre parti del mondo, se commettessi atti disonesti? Noi non siamo legati ad un partito, ma ad ideali forti».

Scattano in piedi tutti i presenti. Spontaneo affiora un applauso che sembra non finire mai. Dopo Lucano, prendono la parola in tanti.

Omar, arrivato qui dal Ciad nel 2012, spiega il meccanismo perverso che porta molte amministrazioni dei progetti Sprar a chiedere prestiti alle banche quando non riescono a coprire le spese per l’accoglienza: «Sono costrette a contrarre prestiti per anticipare i fondi che vengono erogati con molto ritardo. Spesso sono a tassi agevolati, ma non è giusto usare i fondi pubblici per pagare le banche. Con i buoni, noi permettiamo ai profughi di fare acquisti, aiutando anche le piccole realtà locali a restare in vita, e quando i soldi arrivano, ripaghiamo i debiti».

Tramonta il sole alle spalle di Riace. Ma tutto è ancora più chiaro, adesso, dopo le parole del popolo dell’accoglienza.