Il giorno dopo il voto in Kenya il peso dell’opposizione e un ritorno complessivo di sfiducia sono condensati in un un’unica cifra: 34. È la percentuale ufficiale dei votanti secondo la commissione elettorale. Ad agosto aveva votato l’80%. Tuttavia, la scarsa affluenza non rappresenta pienamente quanto è avvenuto in questa ripetizione del voto presidenziale, dopo l’annullamento da parte della Corte suprema di quello dell’8 agosto.

Si è votato in massa, come ad agosto, nelle zone Kikuyu e Kalenjin, quasi per niente invece nelle aree Luo (5.319 seggi non sono stati neanche aperti). Una situazione che porta gli analisti locali a parlare di un Paese a «due facce». Kenyatta, secondo i primi risultati, è in testa con oltre il 98% dei consensi, ma la scarsa partecipazione riduce nettamente la sua rappresentatività e ha il sapore più della sconfitta che della vittoria. Raila Odinga da parte sua annuncia forme di boicottaggio permanenti nei confronti delle aziende che collaborano con «la dittatura». Così, rileva padre Carlo, missionario a Nairobi, «si complica una situazione già difficile, una tensione che non fa bene alle piccole economie dei poveri».

Per tutta la giornata di ieri si sono ripetuti scontri con le forze di polizia anche in zone dove non si erano verificati incidenti nel giorno delle elezioni. A Korogocho, la grande baraccopoli di Nairobu, Christine Wambui racconta che «c’è stata guerriglia, ci sono morti, non possiamo uscire di casa, c’è gente ferita che non può curarsi perché non ha soldi per pagare l’ospedale e noi continuiamo a bere lacrime».

L’opposizione ha continuato a rivolgere forti critiche alla commissione elettorale e in particolare al suo responsabile esecutivo Ezra Chiloba, accusandolo di «manovre dietro le quinte» per favorire Kenyatta. Accuse che Chiloba bolla come «fuorvianti e pericolose per il Paese». Kenyatta invece ha dichiarato che la gente è «stanca di questa elezione prolungata» ed è «il momento di andare avanti». fabrizio floris