Ashraf Fayadh scamperà alla morte, grazie anche alle pressioni internazionali, ma non alla prigione e alle frustate. Una corte dell’Arabia Saudita ieri ha revocato la condanna a morte per “blasfemia” e per aver “rinnegato l’Islam” inflitta al poeta palestinese, commutandola però in otto anni di prigione e ben 800 frustate.

Fayadh deve la sua vita all’impegno del suo avvocato, Abdulrahman al-Lahem, che aveva chiesto e ottenuto un nuovo processo per il mancato rispetto dei diritti dell’imputato.

Tuttavia Fayadh seguirà la sorte subita dal blogger Raif Badawi, frustato un anno fa in pubblico a Gedda. Nel suo caso le frustrate saranno impartite in 16 diverse sessioni e, inoltre, tutte le sue poesie non potranno più avere accesso sui media sauditi.

Adam Coogle, di Human Rights Watch, pur apprezzando la decisione della corte saudita, ha comunque ribadito che «nessuno dovrebbe essere arrestato per aver espresso le opinioni e sottoposto a punizioni corporali». Coogle ha quindi chiesto l’abolizione piena di una «sentenza ingiusta».

Per lo scrittore Irvine Welsh «Non si può accettare una barbarie come compromesso» ed è tempo che «i governi occidentali smettano di avere a che fare con il perverso regime saudita».