La svolta di Ramstein. Nel giorno del mega-summit militare nella più importante base Usa in Europa il governo Scholz dà il via libera alla consegna dei panzer tedeschi all’Ucraina.

Nel dettaglio, si tratta di 50 tank anti-aerei Gepard aggiornati ai più recenti standard appena dismessi dalla Bundeswehr, ma a Berlino sarebbero anche pronti ad autorizzare i produttori Krauss-Maffei e Rheinmetall a fornire a Kiev 88 carri armati Leopard 1 modello A-5 e il centinaio di blindati Marder da settimane in cima alla lista di richieste di Volodymyr Zelensky. Finisce così la resistenza all’escalation del cancelliere Olaf Scholz che fino a ieri sembrava inflessibile: di fatto il leader socialdemocratico ha sciolto la sua promessa di tenere la Germania fuori dallo scontro frontale con la Russia.

COME SE NON BASTASSE, oltre allo stock di mezzi corazzati la Repubblica federale consegnerà all’esercito ucraino anche 100 obici semoventi, perché – per dirla con le parole della ministra della Difesa, Christine Lambrecht – «sappiamo tutti che in questa guerra l’artiglieria è un fattore decisivo». Valore complessivo dello scambio bellico: circa due miliardi di euro a carico (per adesso e in teoria) della Germania o della Nato.

Insomma, due mesi dopo l’inizio dell’invasione di Putin, nel giro di appena ventiquattro ore, Berlino innesta la retromarcia. Per la prima volta la Germania girerà a Kiev equipaggiamento militare pesante di costruzione occidentale e non più solo gli avanzi di magazzino della Ddr.

Quasi certamente i panzer verranno forniti attraverso le consuete triangolazioni, a partire dalla consegna diretta dei costruttori alle forze armate ucraine. Ma il trucco architettato per evitare le ritorsioni di Mosca funziona sempre meno: i tank tedeschi corrispondono esattamente alle armi messe nel mirino dal ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, che non ha mancato di indicare ai Paesi Nato dove (secondo Mosca) si trova l’orlo del precipizio verso la Terza guerra mondiale.

IN OGNI CASO, LAMBRECHT, ieri nella base di Ramstein ha confermato pubblicamente il clamoroso cambio di direzione del governo Scholz. Dopo aver provato per dieci giorni a convincere Zelensky e gli alleati Nato che i depositi della Bundeswehr sono praticamente vuoti, la ministra Spd ha ceduto di schianto all’insostenibile pressione di Washington seguita dalle devastanti campagne mediatiche contro il «temporeggiatore Scholz» e l’ex cancelliere Gerhard Schröder non ancora espulso dalla Spd nonostante sul libro paga di Gazprom e Rosfnet nonché amico personale di Putin. Ma ha influito non poco anche il martellamento quotidiano dentro la coalizione Semaforo di Verdi e Fdp, favorevoli all’invio senza se e ma di tutto il materiale richiesto dallo Stato Maggiore delle forze armate ucraine. E forse non è un caso se ieri la dichiarazione di Lambrecht (che avrebbe voluto intervenire durante l’apertura del summit insieme al segretario alla Difesa Usa, Lloyd Austin) è stata trasmessa solo a margine della conferenza stampa, ufficialmente a causa di problemi tecnici.

TUTTAVIA, SE LA NEUTRALITÀ fondante della Germania post-1945 scolpita in Costituzione è stata definitivamente archiviata in nome della «difesa attiva», Scholz e Lambrecht devono comunque fare i conti con la clamorosa protesta formale della Svizzera. Il governo di Berna ha accettato di partecipare alle sanzioni contro la Russia ma non ha alcuna intenzione di finire nell’elenco dei cobelligeranti stilato da Putin.

«Berlino non fornisca agli ucraini munizioni acquistate in Svizzera» è il monito trasmesso su carta intestata dal ministero dell’Economia della Confederazione elvetica, deciso a vietare l’export in quanto «il destinatario finale è un Paese coinvolto in un conflitto armato, e la nostra legge sulla neutralità lo impedisce».

Ostacolo, però, tutt’altro che insormontabile. Secondo la Süddeutsche Zeitung il governo Scholz avrebbe già predisposto il piano B: i proiettili per i cannoni da 35 mm montati sulle torrette dei Marder destinati a Kiev verranno spediti dal Brasile che ha comprato i blindati tedeschi in occasione dei Mondiali di calcio 2014. L’ennesima prova che la declinazione al contrario della «lista del Molibdeno» da parte di Berlino è sempre esistita solo sulla carta.