Non è un estate, e in verità neanche un’annata, particolarmente felice per Hong Kong, piccole e grandi scosse infatti stanno minando non solo i diritti civili degli abitanti dell’ex colonia britannica, ma anche il mondo dell’arte che sempre di più si trova sull’orlo di un pericoloso precipizio. Dopo l’entrata in vigore, lo scorso undici giugno, di un emendamento che permette di censurare film prodotti o distribuiti nel territorio per motivi politici, cioè qualsiasi film che possa «sostenere, promuovere, glorificare, incoraggiare o incitare atti che mettono in pericolo la sicurezza nazionale», qualche giorno fa è stata diffusa un’altra preoccupante notizia.

Sono infatti all’orizzonte ulteriori emendamenti alla legge sulla censura che potrebbero colpire anche lavori già usciti sul mercato cinematografico e in circolazione in varie forme. In parole povere, se queste modifiche dovessero passare, la discussione è in programma per il prossimo mercoledì ma è molto probabile che questi emendamenti verranno approvati, qualsiasi film del passato, del presente o prodotto nel futuro avrà bisogno di un’approvazione prima di poter essere messo, o rimesso, in circolazione, come dichiarato dal segretario per il commercio e lo sviluppo economico Edward Yau.

PROBABILMENTE, come molte persone del settore hanno fatto notare sui social media, senza nascondere una forte preoccupazione, queste modifiche andranno a colpire non solamente film proiettati nelle sale cinematografiche, ma anche lungometraggi, serie e altri tipi di materiale audiovisivo disponibili in streaming sulle piattaforme, grandi o piccole che esse siano, ma in formato fisico come DVD o Blu-ray. Non solo lavori di diretta denuncia sociale come alcuni documentari sull’Umbrella Revolution del 2014 per esempio, che del resto già trovano non poche difficoltà ad essere distribuiti, ma anche opere di genere come Ten Years, film di fantascienza a episodi che immaginava un futuro cupo per Hong Kong, potrebbero essere i primi lavori a subire le conseguenze di questo inasprimento della legge sulla censura.

Le pene per chi non seguirà queste nuove direttive o per chi venderà o proietterà lavori «proibiti» saranno molto severe, multe fino a un milione di dollari di Hong Kong, più di cento mila euro, e incarcerazione fino a tre anni. Oltre a questo, è possibile la revoca delle licenze per i luoghi che proietteranno lavori considerati contrari agli interessi della sicurezza nazionale ed è bene ricordare ancora una volta che qui si parla anche di film vecchi, non solo di nuove produzioni.

UN’ALTRA sinistra piega in questo ulteriore restringimento dei diritti civili è che i titoli ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale non potranno chiedere appello seguendo le tradizionali vie legali, ma dovranno affidarsi ad una revisione giudiziaria attraverso il tribunale di Hong Kong, una procedura legale costosa sia in termini di denaro che di tempo. Come hanno fatto notare alcuni esperti in materia, questa mossa è un altro esempio di come il sistema giudiziario nella città-stato sia uno dei metodi più usati dal governo cinese per imporre il giro di vite sulle libertà politiche e di espressione a Hong Kong.

Questi emendamenti, che sono la diretta conseguenza della legge sulla sicurezza nazionale promulgata circa un anno fa, rischiano di alterare in negativo lo sviluppo di una delle cinematografie più ricche, fiorenti e uniche che si sono sviluppate dall’invenzione del cinematografo ai nostri giorni. Una cultura cinematografica che è specifica e legata al territorio, ma che è diventata nel corso dei decenni patrimonio universale.