Le hanno devastato la casa: oltre due ore di raid della polizia e poi l’arresto. È stata portata via all’alba di giovedì Hoda Abdelmoniem, tra le più note avvocate egiziane per i diritti umani ed ex membro del Consiglio nazionale per i diritti umani. Di lei non si sa ancora nulla: è stata condotta in una località sconosciuta. E non è stata l’unica: la notte tra il 31 ottobre e il primo novembre è stata notte di retate in Egitto.

Al,meno 19 i difensori dei diritti umani arrestati nelle loro case, otto donne e undici uomini, nell’ennesima escalation della repressione di cui si macchia dal luglio 2013 il regime golpista del presidente al-Sisi. Come non c’è pace per oppositori e giornalisti indipendenti, non c’è pace per chi prova a tutelare i diritti umani in un paese in cui non esistono più, falcidiati dalla repressione di Stato.

Tanto dura è stata l’ultima campagna di arresti da spingere l’Egyptian Coordination for Rights and Freedoms, organizzazione che monitora le violazioni dei diritti umani e offre sostegno legale alle vittime, a sospendere le attività: tra gli arrestati c’è anche Mohamed Abu Horira, avvocato dell’Ecrf e suo ex portavoce. Sono spariti dal 14 settembre, invece, il fondatore dell’ong Ezzat Ghonim e l’avvocato Azzouz Mahboub: avrebbero dovuto essere rilasciati il 4 settembre dopo cinque mesi di detenzione, ma di loro non si hanno più notizie.

Ieri il sito dell’Ecrf era irraggiungibile. «Il clima in Egitto non permette il lavoro di nessuna ong», ha commentato Ahmed Attar, ricercatore di Ecrf basato a Londra, spiegando la sospensione delle attività.
Dura la condanna di Amnesty che tramite la direttrice per il Nord Africa, Najia Bounaim, parla di «agghiacciante ondata di arresti»: «Le autorità egiziane hanno mostrato ancora una volta la loro spietata determinazione a stroncare ogni forma di attivismo. Chiunque osi parlare di violazioni dei diritti umani oggi in Egitto è in pericolo».

A dare la misura del pericolo è anche l’ultima legge promossa dal governo per garantirsi il controllo della rete: ai siti web sarà richiesto di registrarsi presso l’esecutivo, pena la chiusura. Un destino già sperimentato da oltre 500 siti, tra cui agenzie indipendenti, offline in Egitto da oltre un anno.

Come sottolinea Attar, «il continuo attacco ai difensori dei diritti umani costituisce un crimine premeditato che richiede l’intervento del Consiglio dell’Onu per i diritti umani». Ma è il silenzio a rimbombare sulla devastazione della società egiziana, della sua politica, delle sue organizzazioni di base. Dal 2014 il numero dei prigionieri politici in Egitto è sestuplicato rispetto all’era Mubarak: 60mila i detenuti per motivi politici.

E mentre la sua polizia portava via 19 persone, al-Sisi era in Germania per incontri con i ministri tedeschi e la cancelleria Merkel volti a rafforzare rapporti commerciali, lotta congiunta al terrorismo e formazione delle forze di sicurezza. Le stesse che decapitano la società civile egiziana. Ci siamo anche noi: a poche ore dalla retata, l’ambasciatore italiano Cantini incontrava la Commissione dei diritti umani del parlamento egiziano. A Cantini (che ha ribadito la richiesta di verità per Giulio Regeni) il presidente della Commissione Alaa Abed ha enumerato i presunti sforzi per garantire il rispetto dei diritti nel paese. Chissà di cosa stava parlando.

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Dov’è Mostafa?

È scomparso da 35 giorni: Mostafa al-Naggar, ex parlamentare post-rivoluzione, tra i leader di piazza Tahrir e fondatore del partito laico al-Adl, è introvabile dal 28 settembre. A denunciarlo è la moglie: l’ultima telefonata
le era arrivata da Aswan, dove al-Naggar si trovava per un’udienza del processo di appello aperto dopo la condanna a 3 anni per insulto alla magistratura.

A metà ottobre un anonimo ha telefonato alla moglie dicendole che era detenuto in un carcere di Aswan. Le autorità egiziane negano di averlo in custodia e parlano di una fuga per evitare le detenzione. Martedì 400 personalità di diversi partiti di opposizione hanno firmato una petizione per chiedere al Cairo di far sapere dove si trova Naggar.