Sullo sfondo «la città era uno scheletro». Esce per Transeuropa la raccolta poetica La sottrazione, di Marilena Renda. Forse l’immagine della città scheletrita rimanda alle baraccopoli del Belice, dove l’autrice ha trascorso alcuni anni durante l’infanzia: e ora in questi versi casa, scuola e città sono chiuse in una bolla inquietante. Se nel libro precedente Arrenditi Dorothy! Renda rimandava alle atmosfere del Mago di Oz e ai mostruosi soggetti di Diane Arbus, qui in La sottrazione il viaggio va dall’infanzia a chissà dove, un’aula probabilmente. E nel percorso dall’infanzia in poi, qualcosa viene sottratto. Cosa viene sottratto? Qualcosa di importante. Qualcosa che era «il tuo».

«Come hanno fatto per insegnarti / a perdere il tuo nel loro, / a scalcagnarti dietro i passi dei maestri?». Il libro va dall’immagine di qualcuno in casa «aggrappato a un braccio, alla schiena di un divano» fino alla sala riunioni dove madri e insegnanti si fronteggiano. «Non sappiamo cosa fare con questi ragazzi, cosa fare». In queste poesie si aggira un tipo di donna comune: «Mia madre canta e fuma tutto il giorno / mia madre canta e fuma non mi fa dormire / non mi fa stare / non mi fa studiare». E cosa manca? Qualcosa per la scuola, forse? Una biro, un quaderno, forse? Possibilmente verde… E dell’alunna G. M che diciamo? «Quest’anno è più calma, nonostante la madre sia matta». I bambini poetici di Marilena Renda hanno perso a ottobre il pastello celeste, e ora se ne stanno lì come icone: «i malinconici, i rimproverati».

È una sottrazione cosmica quella a cui si allude, una paura, immensa e infantile, come in prossimità d’un colossale svanire: «arriva il giorno che il mondo scompare». Svanito è quel cielo in cui dormivamo da piccoli. Ora siamo lì, tra maestre e maestri. Prima la regola, secondo l’esercizio. «Sì lo sai fare. Basta concentrarsi, lo sai fare». Al centro resiste una fragilità, magica nonostante tutto: i computer, i faldoni a terra, le pareti annerite, le sedie rotte. La poesia di Marilena sgorga come un canto semplice, qualcosa di canticchiato per paura. Il mondo è madri, padri, figli, fratelli, ma c’è sempre qualcuno di più piccolo. La gente o canticchia o dà ordini: su àlzati, làvati. La gente esce di corsa al mattino. Tu ti muovi, tu vivi velocemente, distrattamente, e mentre vivi qualcosa scompare, qualcosa ti viene sottratto.

Gli oggetti «che hanno attraversato la soglia, utili, importanti, io adesso sono certa che a qualcuno sono stati sottratti. Non dico rubati, non avrei le prove, ma nell’attimo in cui questa brocca si è posata sul ripiano della cucina, a qualcun altro è stato preso uno sgraffio di futuro». La sottrazione: il futuro. Ma c’è anche un sottrarre che è restituzione: la poesia sottrae al mondo la sua opacità, la poesia alita sulla brocca, restituisce vita. Sottrae la parola al buio del discorso, al torbido fluire del mondo.