Per Juan Guaidó è una strada obbligata: tenere alta il più possibile la tensione per le strade, cercare lo scontro con le forze fedeli a Maduro per attribuire a queste ultime la responsabilità delle violenze e continuare a esercitare pressioni sulla Forza armata bolivariana (Fanb) per ottenere nuove defezioni. «Restare in piazza – ha scritto non a caso su Twitter – è l’unico modo per mantenere l’attenzione, la pressione, l’azione della comunità internazionale, spingere la forza armata al rispetto della Carta costituzionale e dimostrare a quanti sostengono il dittatore che non ci sarà stabilità finché proseguirà l’usurpazione».

Così, con questo obiettivo, l’autoproclamato presidente ad interim ha convocato ieri i suoi sostenitori a mobilitarsi verso le principali unità militari del paese «in pace e senza cadere in provocazioni», e a tenere per oggi una veglia per le vittime delle violenze, ricondotte naturalmente alla repressione da parte della «dittatura».

L’attenzione resta concentrata sui militari, per capire se dietro la ribadita compattezza della Fanb attorno a Maduro siano possibili, come ritiene l’opposizione, alcune crepe. Ulteriori defezioni sono in realtà date per scontate: come ha evidenziato il dirigente del Psuv (il Partido Socialista Unido de Venezuela) Freddy Bernal, «finché scorreranno i fiumi di denaro garantiti da Pence, Pompeo e Bolton, ci sarà sempre qualcuno incline a cedere». Ma, ha proseguito, «la Fanb nel suo complesso si mantiene leale alla Costituzione e al popolo».

In assenza di segnali di rottura dei militari, la vera partita si gioca allora fuori dai confini venezuelani, con il permanente braccio di ferro tra Usa e Russia. Dopo il crescendo di tensioni dei giorni scorsi, Trump, un po’ a sorpresa, ha abbassato i toni, definendo «ottima» la telefonata di venerdì con Putin, il quale gli avrebbe assicurato che la Russia «non sta cercando affatto di essere coinvolta in Venezuela» ma «gli piacerebbe che accadesse qualcosa di positivo» nel paese. «E io – ha detto Trump – sento la stessa cosa».

Un segnale distensivo, questo, che contrasta con il bellicoso atteggiamento mostrato appena tre ore prima dal consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, il quale, su Twitter, scriveva che «Maduro resta aggrappato al potere solo a causa del sostegno di Russia e Cuba», avvertendo che «gli Usa non tollereranno alcuna interferenza militare straniera nel continente americano». Sarebbe proprio Bolton, del resto, a premere su Trump per un’operazione militare, secondo quanto ha riferito il Washington Post citando due assistenti del capo della Casa Bianca.
E proprio del Venezuela discuteranno i capi delle diplomazie dei due Paesi, Serghiei Lavrov e Mike Pompeo, il 6 maggio a Rovaniemi, in Finlandia, a margine di una riunione del Consiglio artico.