Con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale aggravata dall’uso di armi improprie, rimangono in carcere a San Vittore i cinque italiani finiti in manette il Primo Maggio a Milano per i riot che, secondo il Pm e il Gip che ha convalidato ieri gli arresti, sarebbero avvenuti in un contesto di «violenza collettiva» contro le forze dell’ordine. Respingono con forza le accuse, però, tutti e cinque: due milanesi di 23 e 33 anni, di cui uno lavora nel capoluogo lombardo come elettricista, una cameriera di 42 anni madre di una bimba, un commesso 32enne di Tortona (Alessandria), e un 27enne di Lodi.

E d’altra parte la polizia non ha prodotto ancora come prove né filmati né fotografie. La procura indaga ancora però, in particolare ipotizzando il reato (più grave) di devastazione, sulla base delle immagini registrate dalla Digos, di quelle catturate dalla telecamere di sorveglianza disseminate nella città e dai video giornalistici o amatoriali postati sul web. Una mole di frame che offrono, secondo fonti di questura, una «copertura senza equivalenti» delle violenze del blocco nero durante la May Day milanese.

Sotto inchiesta ci sono attualmente una quarantina di persone, compresi gli stranieri espulsi o per i quali era stata chiesta l’espulsione e i due fermati nei giorni precedenti l’inaugurazione di Expo. Di cui un 33enne di Fano fermato il 30 aprile sull’A14 mentre si dirigeva verso Milano e trovato in possesso, pare, solo di indumenti neri, bombolette spray e di un volantino anti-Expo. La chiamano «attività di prevenzione».

Intanto domenica mattina a Genova sono stati arrestati altri cinque francesi, di cui uno già espulso in precedenza dall’Italia per aver partecipato alle proteste No Tav, accusati di aver preso parte ai riot milanesi. Secondo gli inquirenti, nell’appartamento dove alloggiavano i cinque, arrestati per aver vandalizzato alcune auto in strada, sarebbero stati trovati una ricevuta di pedaggio autostradale, mappe di Milano, volantini della manifestazione, maschere antigas, occhialini da saldatore, tute nere e oggetti potenzialmente offensivi. Su uno degli arrestati a Genova, inoltre, ci sarebbe anche una «nota di riservata vigilanza inserita» nella banca dati Shengen dalla Francia.