«Non siamo tutti preoccupati di fare una figura del cavolo?», la domanda retorica ieri è stata pronunciata tra una sfilata e l’altra niente meno che da Giorgio Armani. Il marketing impone ottimismo, ma tutti sanno che Expo può rivelarsi un clamoroso flop. L’esposizione universale si farà, ma è sempre più rischioso scommettere che sarà un successo. I vari uffici stampa legati all’evento non fanno che snocciolare nuove iniziative e promettere ritorni economici per tutti. Ieri la Camera di Commercio, uno dei soci di Expo, ha “calcolato” 2 miliardi di entrate e 20 mila occupati solo grazie alle iniziative culturali in programma in città per il Fuori Expo.

Ormai a Milano e non solo nulla si muove senza il marchio salvifico di Expo. Non passa giorno senza che i politici locali taglino qualche nastro e stappino qualche bottiglia per inaugurare le iniziative le più diverse e fantasiose. Ieri il governatore lombardo Roberto Maroni, in perfetto clima mundial, è andato a dare il calcio d’inizio all’Expo Champions Tour, nome altisonante per un’iniziative ideata proprio dal suo staff: una specie di torneo di calcetto a 5 in cui la squadra della regione sfida 48 squadre di comuni dell’hinterland milanese. Il ministro dell’agricoltura Maurizio Martina, invece, era al Tecnopolo di Reggio Emilia per l’ennesimo convegno: «Expo, per un progetto globale del cibo».

E’ nel bel mezzo di questo infinito e stucchevole tour promozionale che si gioca il continuo tira e molla tra governo ed enti locali su chi ci mette di più la faccia e i soldi sapendo che c’è il rischio di perdere entrambi. Maroni ancora una volta ha polemizzato: «Dieci giorni fa il governo ha varato un decreto che dava i poteri a Raffaele Cantone, ma ad oggi non ce n’è traccia nella Gazzetta ufficiale. Chiedo al governo di darsi una mossa». Il ministro delle infrastrutture Lupi gli ha risposto stizzito: «Non è il momento delle polemiche. E’ il momento di agire: le cose le stiamo facendo e i lavori vanno avanti».

Sicuramente vanno avanti i magistrati. Ieri il gip ha disposto il giudizio immediato per l’ex capo di Infrastrutture lombarde Antonio Rognoni e per altri sette indagati. Mentre il tribunale del riesame ha negato i domiciliari all’ex senatore del Pdl Luigi Grillo «in considerazione dell’altissimo livello dell’attività di turbativa degli appalti e corruttiva che l’indagato è in grado di porre in essere, avvalendosi di sodali in grado di influenzare anche le scelte politiche» e «in considerazione della particolare complessità delle indagini e della altissima capacità manipolatoria che l’indagato è in grado di esercitare». Per i giudici, Grillo «ha svolto fin quasi al giorno dell’arresto un’intensissima attività volta a promuovere le carriere dei pubblici ufficiali coinvolti negli appalti da manipolare, attraverso i necessari contatti politici e con i vertici delle pubbliche amministrazioni».