Venerdì 8 ottobre 2021, mattina. La giornalista filippina Maria Ressa riceve la telefonata da Oslo e per la prima volta si trova senza parole: il Comitato ha appena deciso di conferirle il premio Nobel per la pace, insieme al russo Dmitry Muratov. Ressa è la prima cittadina filippina in assoluto a ricevere il Nobel, che in anni sempre più difficili per il giornalismo lancia un segnale forte sul valore dell’informazione come veicolo di pace.

Ma passiamo a un’altra data: 15 giugno 2020. Quello che l’organizzazione Reporters Without Borders (Rsf) chiamerà un «giorno devastante per il giornalismo». Maria Ressa viene condannata dal Tribunale regionale di Manila per diffamazione informatica, rischiando fino a sei anni di carcere. Insieme al ricercatore Reynaldo Santos Jr. era finita nel mirino della Giustizia per aver denunciato un caso di corruzione intorno all’impero milionario di Wilfredo Keng, investitore nei più disparati campi, dal mattone fino alle miniere.

CLASSE 1963, nata a Manila e cresciuta fino all’età di dieci anni senza genitori, Maria Ressa si è trasferita negli Stati Uniti dopo il secondo matrimonio della madre, che per nove anni ha mandato soldi alle due figlie dai lontani States. Personalità creativa e aperta, si è specializzata prima in biologia molecolare e poi in teatro, approdando alla University of Philippines Diliman con una borsa di studio in teatro politico. La passione per il giornalismo arriva con i primi impieghi, dall’esordio nell’organico della rete televisiva statale PTV 4 all’ingresso in Cnn. Ressa viene messa a capo dell’ufficio della capitale Manila alla fine degli anni Ottanta, appena 25enne. Sempre per il media americano si trasferisce a Jakarta, e inizia a specializzarsi sulle reti terroristiche in Asia. Il suo nome inizia a emergere tra le file dei giornalisti dissidenti nelle Filippine nel 2010, quando un suo pezzo d’opinione per il Wall Street Journal critica senza troppi crismi il neoeletto presidente Benigno Aquino III.

TRASCINATA INSIEME al suo giornale Rappler nella stretta governativa contro i giornalisti, ha ricevuto decine di mandati d’arresto negli ultimi anni. E nel resto del mondo accadeva lo stesso: nel 2018 era l’unica giornalista premiata tra «le persone dell’anno» di Time che ancora non fosse stata uccisa, imprigionata o sopravvissuta a qualche attentato alla sua vita. Oggi le Filippine occupano il 138° posto su 180 nell’indice per libertà di stampa di Rsf, perdendo lentamente punti con l’arrivo del presidente Rodrigo Duterte. Noto per la sua insofferenza nei confronti della stampa, era esordito già nei suoi primi discorsi con la sentenza: «Solo perché sei un giornalista, non sei esentato dall’assassinio se sei un figlio di puttana. La libertà di espressione non può aiutarti se hai fatto qualcosa di sbagliato».

Da allora sono stati almeno quattro i giornalisti uccisi da bande locali, presumibilmente arruolate da politici o uomini d’affari. Allo stesso tempo è cresciuta la disinformazione: sono aumentati i troll online pro-Duterte, così come gli attacchi informatici ai siti di informazione.

IN OCCASIONE DEL PREMIO Gwen Ifill Maria Ressa dirà: «Questo è un momento cruciale per le strutture di potere globali, oggi ‘ribaltate’ dalla tecnologia. Le stesse piattaforme partite dagli Usa che un tempo davano la parola ai giornalisti, oggi sono armi contro di loro e i cittadini, soprattutto le donne. Si tratta di un problema globale, che affligge soprattutto i paesi come il mio dove le istituzioni si sono sgretolate, dove il potere va di pari passo con l’impunità. Questo è il nostro lavoro: combattere l’impunità su due fronti, il governo filippino e…Facebook».