Per evitare l’insidiosa trappola leghista di far rispuntare la responsabilità civile diretta dei giudici in un emendamento alla legge comunitaria – norma che, se accolta, avrebbe stracciato definitivamente i già precari rapporti istituzionali tra magistratura e governo – la «quarta Repubblica» di Matteo Renzi è dovuta ricorrere ad un espediente tecnico caduto in disuso dai tempi della «prima Repubblica».

Quando ieri la ministra per i Rapporti con il Palamento Maria Elena Boschi ha posto la «fiducia sulla reiezione» dell’emendamento del leghista Stefano Candiani alla legge Europea 2013/bis (ancora al vaglio del Parlamento mentre già quella del 2014 ha ricevuto il via libera del Cdm il 31 luglio scorso) a Palazzo Madama ci sono stati minuti di panico. Si può fare? E come si vota: «no» per dare fiducia all’esecutivo e «sì» per bocciarlo?

C’è voluta la conferenza dei capigruppo per stabilire che si tratta di una procedura rara ma non unica, usata l’ultima volta nel 1986, quando al posto di Boschi c’era Oscar Mammì, e l’emendamento era alla legge finanziaria del governo Craxi. Questa volta, a differenza dell’11 giugno scorso quando sull’emendamento Pini che introduceva appunto la responsabilità diretta dei magistrati il governo venne battuto alla Camera con i voti, a scrutinio segreto, di 34 franchi tiratori del Pd, ieri l’esecutivo ha ottenuto 159 consensi e 70 voti contrari alla fiducia. Si sono astenuti in 51, tra cui i 40 senatori del M5S per i quali ha prevalso l’opposizione all’emendamento leghista su quella al governo Renzi.

Superato l’ostacolo per la seconda volta (il 4 settembre scorso l’emendamento Pini introdotto a Montecitorio era stato cassato dalla commissione Politiche europee di Palazzo Madama) il governo si appresta però ad affrontare la questione della responsabilità civile dei magistrati nella riforma complessiva del sistema Giustizia a cui da mesi sta lavorando il Guardasigilli Orlando (e contro la quale ieri si sono schierati i giudici di pace proclamando cinque giorni di sciopero, dal 29 settembre al 3 ottobre).

A premere è soprattutto l’ala destra dell’esecutivo: «La legge Vassalli va modificata», interviene il vice di via Arenula, Enrico Costa, del Ncd. Perché prevede un meccanismo risarcitorio, adottato in seguito al referendum abrogativo del 1987, che il viceministro definisce «inefficace e inattuale». È vero però che anche la Corte europea di Giustizia ha sollecitato l’Italia a facilitare il ricorso dei cittadini contro i giudici che sbagliano con dolo, pena una condanna che costerebbe, fa notare Costa, il pagamento di «una sanzione pesantissima che, a oggi, non sarebbe inferiore a 37 milioni di euro». Il viceministro quindi invita il Parlamento a «procedere speditamente» per approvare il ddl varato dal Consiglio dei ministri lo scorso 29 agosto «che rappresenta la ricerca di un punto di equilibrio attraverso forti innovazioni: in particolare, sopprimendo il filtro di ammissibilità senza compromettere l’indipendenza del magistrato».

La bozza preparata dagli uffici tecnici del ministro Orlando prevede inoltre l’«ampliamento dell’area di responsabilità su cui possa far leva chi è pregiudicato dal cattivo uso del potere giudiziario», l’obbligatorietà della rivalsa da parte dello Stato nei confronti del magistrato resosi colpevole di «negligenza inescusabile», e l’innalzamento della soglia di rivalsa fino alle metà dello stipendio del magistrato.

Un provvedimento che è già un boccone amaro per le toghe. Un altro, che si aggiunge alla questione del dimezzamento dei termini feriali, troppo spesso confusi con le ferie dei magistrati, e sulla quale, ha detto ieri il vicepresidente del Csm Michele Vietti, «si sono spese troppe parole». Non a caso il plenum del Csm ha registrato ieri il malumore dei magistrati di ogni corrente, «stanchi di essere umiliati, offesi e indicati come i responsabili dello sfascio». In questo clima ci mancavano solo le parole di Renzi, che alla Camera nel suo discorso dei Mille giorni ha difeso l’indagato Descalzi, ad dell’Eni, stigmatizzando «non proprio implicitamente», come hanno fatto notare alcuni togati del Consiglio, «il comportamento di magistrati che avevano emesso un’informazione di garanzia, per altro imposta dalla legge».