Che cosa non ha funzionato nel sistema di Protezione civile in Sardegna? Lo scaricabarile tra amministrazioni e istituzioni a cui stiamo assistendo, come spesso avviene nel nostro Paese dopo ogni calamità, non aiuta a fare chiarezza. Ma questa volta il prefetto Franco Gabrielli è fermamente deciso a difendere il proprio operato a capo del Dipartimento nazionale: «Tutto è perfettibile e può essere migliorato», dice rispondendo alle polemiche sulla diffusione dell’allerta, ma è già pronta una querela per calunnia contro «alcuni soggetti farneticanti che parlano di carte taroccate».

In particolare contro il consigliere regionale Paolo Maninchedda che sul sito da lui stesso curato, “Sardegna e libertà“, ha parlato di manipolazione di alcuni bollettini meteo.

«Il consigliere Maninchedda – spiegano nella sede di Via Ulpiano, a Roma – confonde i bollettini di vigilanza, pubblicati quotidianamente sul sito del Dpc e frutto del lavoro congiunto tra il Centro funzionale centrale e i Centri funzionali regionali laddove esistono, (ossia solo in 10 regioni italiane, malgrado la direttiva che ne impone la costituzione risale al 27 febbraio 2004, ndr), con i bollettini di criticità che invece non sono consultabili on line ma ogni giorno segnalano i fenomeni meteorologici significativi alle Protezioni civili regionali».

Sono loro, le Regioni, infatti, ad essere responsabili ciascuna con le proprie norme del sistema di allertamento dei comuni, perché è dal 2001 che la Protezione civile è materia concorrente, come stabilito dal riformato articolo 117 della Costituzione. Da parte del Dipartimento nazionale l’allerta, ha raccontato Gabrielli, è scattata «alle 14,12 di domenica». Il bollettino segnalava «criticità elevata», il massimo grado della scala del rischio idrogeologico. Un livello raggiunto nel 2013, secondo il capo della Protezione civile, solo 4 volte nei bacini di allertamento colpiti dall’alluvione di lunedì scorso (l’Italia è suddivisa in 120 bacini di allertamento per tenere conto delle fragilità del territorio).

«La Regione Sardegna è stata tempestiva – ha aggiunto il prefetto – ha diramato l’allarme ai comuni alle 16,20; alcuni comuni si sono attrezzati altri no». Infatti, proprio in base a uno dei principi fondanti del nostro modello di Protezione civile – la sussidiarietà – la responsabilità primaria è del sindaco. Eppure, malgrado la legge 100/2012 abbia ribadito che ogni comune deve dotarsi di un piano di emergenza per affrontare le calamità, solo il 75% di essi ha dichiarato di averne uno. Infatti, dei 7759 comuni che hanno risposto alla specifica domanda del Dipartimento nazionale (su 8093 totali, di cui 6600 a rischio idrogeologico), solo in 5801 hanno dichiarato di aver approntato un piano di emergenza. «Ma non ne conosciamo la qualità – specificano in Via Ulpiano – non sappiamo se e quanto questi piani siano aggiornati, conosciuti o rispettati».

Un piano di emergenza, però, costa. E i sindaci possono ben poco davanti ai budget sempre più esigui con cui sono costretti a fare i conti. «Ho un profondo rispetto dei sindaci – ha aggiunto Gabrielli – porto sempre il loro grido d’allarme». Ora, mentre l’allerta è ancora alta per le avverse condizioni meteo soprattutto nelle zone già colpite, i sindaci saranno affiancati dal nuovo commissario per l’emergenza, Giorgio Cicalò, direttore della Pc regionale, appena nominato dal governatore Ugo Cappellacci.

Ma è la gestione delle emergenze ad aver bisogno di un’ulteriore razionalizzazione: come spiega Pompeo Mannone, segretario generale della Federazione nazionale della sicurezza Cisl, «è necessario e responsabile superare le duplicazioni istituzionali esistenti anche in ragione della grave crisi economica in cui versa il Paese».