Non c’erano telecamere e giornalisti ad accompagnare il primo volo di rimpatrio di migranti arrivati in Grecia attraverso l’Egeo: settanta pachistani a cui è stato negato il permesso per continuare la marcia lungo la martoriata rotta balcanica sono stati prelevati dal centro di detenzione di Amygdaleza, vicino Atene, e imbarcati nottetempo per Islamabad pochi giorni fa, scortati solo dai funzionari di Frontex e dai poliziotti greci.

Tutto un altro clima rispetto a quello del primo volo di ricollocamento, partito sempre dall’aeroporto di Atene soltanto poche ore prima, alla presenza del commissario agli Affari interni dell’Ue Dimitri Avramopoulos: direzione Lussemburgo, dove i migranti accettati debbono essere riallocati in base alle quote stabilite dalla Commissione.

Dopo la gestione dell’attuale emergenza, «la più grande pressione migratoria dalla fine della seconda guerra mondiale» come ripete Avramopoulos, la cernita tra chi potrà entrare e chi no nella fortezza Europa sarà fatta negli Hotspot. Nei documenti preparatori del vertice europeo di mercoledì e giovedì a La Valletta, dove dovrebbe essere messa a punto la strategia di lungo respiro sul tema dell’immigrazione, si evidenzia come sia necessario rispettare i diritti umani, le convenzioni internazionali, come sia essenziale creare canali di ingresso legali e intervenire nei paesi di partenza con interventi di cooperazione (si prevede uno stanziamento da 1,5 miliardi solo per l’Africa) anche attraverso l’impiego delle rimesse e il microcredito.

Ma il sistema degli Hotspot ai quali Grecia e Italia sono tenute a uniformarsi in breve tempo ha come priorità l’identificazione dei richiedenti asilo, anche attraverso la schedatura per impronte digitali, e il respingimento degli indesiderati, inclusi i cosiddetti migranti economici in cerca di una vita migliore. La logica è quella dell’intelligence, molto simile a quella di gestione di crisi in zone di guerra: squadre iperspecializzate da inviare nei punti caldi – gli Hotspot, appunto – per aiutare il personale locale a distribuire aiuti emergenziali e a gestire in modo integrato, coordinato, e soprattutto riservato, i rimpatri e lo scambio di informazioni significative per la sicurezza dell’Unione.

Chi ha proposto questo sistema? Gli stessi che lo gestiranno: i funzionari delle potenti agenzie europee, cioè Frontex e Easo. Quest’ultima, creata nel 2010, conserva un nome che non corrisponde alle sue attuali funzioni: Ufficio europeo di sostegno per l’asilo. È soprattutto tramite gli esperti – o tecnocrati – di queste due agenzie, riunite nel cosiddetto migration management support team, che la Commissione europea assicura i nuovi budget per la gestione della crisi dei migranti arrivati tramite l’Egeo dalla Turchia lungo la rotta dei Balcani occidentali.

Bruxelles conta di spendere 9,2 miliardi in totale nel 2015 e 2016. L’operazione Mare Nostrum, che però era una missione di salvataggio e non di identificazione e respingimento, quindi non gestita da Frontex, è costata al governo Letta all’incirca un decimo. La cifra assai più rilevante stanziata quest’anno servirà a Bruxelles ad aiutare – o meglio commissariare – gli Stati membri sovrintendendo a tutte le operazioni con il suo team e il sistema Hotspot.

Mentre a più lungo termine la Commissione Juncker conta di «potenziare la cooperazione con Stati terzi» da cui i flussi migratori arrivano in Europa, come la Turchia. Niente di molto nuovo: un tempo in questo ruolo era la Libia di Gheddafi.

L’ultima nota di Bruxelles sullo stato dell’arte a proposito della crisi dei rifugiati, datata 3 novembre, ricorda come molti Stati europei che ora reclamano la loro fetta di fondi Ue per accogliere una quota di migranti sono indietro con i pagamenti per quanto riguarda Agenzia Onu per i rifugiati, Fondo europeo per la Siria, Fondo d’emergenza per l’Africa e World Food Programme.

Ad esempio l’Austria disponibile a prendersi altri 2mila migranti non ha dato un fiorino dei 36 milioni di euro che si era impegnata a dare “in beneficienza”. E la Germania, che quanto all’emergenza ricollocamenti accoglierà altri 27 mila profughi, deve alle agenzie della cooperazione internazionale, 123 milioni di euro. Per non parlare della Gran Bretagna che insieme a Irlanda e Danimarca ha innalzato la bandiera del no alle quote di migranti, e ancora la tiene in alto insieme a Copenaghen, e ha il debito più alto con le agenzie internazionali: 137 milioni.

La lista della spesa stilata dalla Commissione prevede forniture di stivali di gomma, sacchi a pelo, brandine, coperte, container, cucine da campo, tende riscaldate per alleviare il gelo dell’inverno alle frontiere di Serbia, Croazia e Slovenia. Ma soprattutto serviranno a reperire altri 157 tecnici dell’Easo e 353 guardie di frontiera super tecnologiche di Frontex a rinforzo del team già dislocato in Italia e in Grecia.

Nel frattempo i numeri dei respingimenti restano esigui: a ottobre solo quattro voli in direzione Tunisia e Egitto per un totale di 153 persone. Poche di più da tutti gli altri Paesi tramite Frontex: appena 569 persone. Quanto invece ai ricollocamenti, mentre il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk dice che a ottobre è stata raggiunta la cifra di 218 mila persone entrate in Europa via mare, nello stesso mese dall’Italia solo 48 persone hanno trovato il modo di raggiungere l’Estonia e 38 la Svezia per questa via.

Rispetto al piano dei 160mila da distribuire nei vari Stati membri manca ancora la disponibilità per 61.744 posti. Che ci sia qualcosa che non quadra nell’impostazione di fondo? È la domanda che dovrebbero porsi i politici europei riuniti a Malta volendo uscire dalla logica dell’emergenza.