Chi si è allenato nelle palestre dei cineforum di provincia, nutre un affetto particolare per Alain Resnais. Nel 1980, Mon oncle d’Amerique inaugura un decennio di grande attività del regista che si chiude con Voglio tornare a casa! Dalle parti degli anni Ottanta sembrava che la nouvelle fosse ancora in pieno fermento. Truffaut, Chabrol e persino Godard si vedevano ancora al cinema. Eric Rohmer era irrefrenabile e Resnais lo sperimentatore instancabile. Coloro che per ragioni anagrafiche s’erano persi pezzi cinematografici consistenti della decade prodigiosa precedente, attraverso Resnais (e Rohmer) potevano continuare a dialogare con questa «cosa» che era stata (?) la nouvelle vague.

La vita è un romanzo, appunto. E quindi lo shock siderale di un film come L’amour à mort, con le relative incomprensioni che lo accolsero all’epoca. Il magistrale Melò, ancor più rarefatto e astrale. Film che uscivano regolarmente in sala ed erano discussi e, soprattutto, visti. Resnais, era una figura familiare nelle rassegne di provincia.

Senza i suoi film i programmi dei cineforum sembravano incompleti. Quando alla fine del decennio Ottanta tutto cambia e i cineforum iniziano a perdere la presa sul territorio, Resnais, che invece continuava a fare cinema con olimpica regolarità, torna a essere un cineasta più misterioso. S’interrompe un dialogo, o quasi, nonostante lui realizzi cose come Smoking/No Smoking, diradando però la scansione temporale fra un film e l’altro. Parole, parole, parole è una fiammata irresistibile, e fa una certa impressione vederlo in una sala piena a Roma. Il successivo Mai sulla bocca, che giunge a distanza di cinque anni nonostante la sua importanza è quasi subito dimenticato e Cuori, realizzato tre anni dopo quest’ultimo, scontenta le cosiddette frange giovani della cinefilia quando a Venezia è premiato per la migliore regia. D’altronde Resnais, come Rohmer, era abituato a sentirsi dare del superato dai critici…

A strepitosa conferma della visionaria corsa in avanti di Resnais, giunge nel 2009 Gli amori folli, uno dei film più importanti in assoluto degli Zero. Rilanciando la sfida del Demy più visionario, con uno sguardo al Coppola di Un sogno lungo un giorno, crea un cine-mondo assoluto, come un set-Brigadoon in perenne movimento. È proprio vero: voi non avete ancora visto niente. Resnais, come l’erba che spunta nelle crepe dell’asfalto, si rigenera ancora una volta come puro gesto cinematografico. Presenza impercettibile ma reale. In questa progressione di titoli, che è un dialogo, un interrogarsi vertiginoso rilanciando la sfida della complessità e dello sguardo, vive un piacere del darsi ma anche del reinventare se stessi unico. Davanti a ogni nuovo film di Resnais, si attiva il relais della memoria che spinge a svolgere il filo delle immagini precedenti. Cos’altro erano le lacrime che accoglievano le prime immagini di Vous n’avez encore rien vu in sala Lumière a Cannes se non un riconoscersi, un riflettersi l’uno nell’altro. Un ritrovarsi, un riscoprirsi. Lo specchio e lo sguardo. La danza delle forme rinnovava il suo esserci e con esso si spostava il mondo come l’avevamo conosciuto sino a pochi minuti prima di entrare in sala. Poi, certo, il mondo restava sempre ad aspettarci all’uscita: Aimer, boire et chanter. Che altro? Ma sì! Il cinema.