È stato di recente pubblicato un cd che rievoca il repertorio e il personaggio di Joséphine Baker, ballerina e cantante morta nel 1975 in Francia a 69 anni. Dis-nous, Josèphine (take records) nasce dalla volontà di Gerardo Iacoucci, pianista e didatta jazz di valore, che fu al suo fianco nei concerti italiani degli anni ’70. Iacoucci ha arrangiato, con il contributo di Paola Massero e Filiberto Palermini, una quindicina di brani della Baker, accendendo i riflettori su una figura dimenticata quanto straordinaria. Nata nel 1906 a St.Louis, ha lottato tutta la vita contro il razzismo e per l’uguaglianza. Debuttò nella danza a 14 anni ed a 18 entrò nella troupe della Revue Nègre che sarebbe approdata a Parigi nel 1925, conquistando la città e l’Europa.  La Baker sarà la stella de Les Folies bergère, arrivando ad aprire un suo locale e a diventare cantante (1930). Una vita intensa: vari matrimoni, la militanza nella resistenza francese, la costituzione di un Village du Monde con dodici bambini adottivi che volevano dimostrare la possibilità di una fraternità universale, tanta beneficenza, tanti debiti, il ritorno alle scene e la morte per emorragia cerebrale. Parliamo di Joséphine Baker con Gerardo Iacocucci. «Gli ultimi anni della sua vita (1970-’75) lei ha ripreso a cantare (aveva molti debiti e dodici figli adottivi da mantenere, nda). Allora si è rimessa in gioco, con tutti i problemi di una donna della sua età… però il suo fascino era ancora straordinario. Un’altra cosa importante è il rispetto dei musicisti. Facevamo sempre concerti piano e voce, per motivi economici. La prima volta che ci esibiamo si va dietro il sipario, finito il concerto. La Baker mentre il sipario si riapre va via. Ho pensato: ’Starà male, sarà successo qualcosa…’. Si chiude il sipario e torna, poi in camerino le ho chiesto: ’Come mai sei andata via, Joséphine?’, ’Perché il primo applauso deve essere fatto per chi decreta il mio successo’. Cose così accadono molto raramente o quasi mai.

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Quando suonava con lei, all’inizio degli anni ’70, che tipo di repertorio facevate?

Di solito il suo repertorio tradizionale (anni ’20-’30 e qualcosa degli anni ’50, nda). Lei aveva acquisito una specie di identikit, il personaggio delle canzoni frivole: con quelle aveva avuto successo ed andava avanti, anche se non disdegnava qualche standard americano. Mi sono rattristato quando mi è capitato di vedere in televisione tempo fa un servizio su St.Louis (Missouri) dove la Baker è nata. Hanno fatto vedere la città, evocato personaggi politici, atleti, musicisti… su Josèphine Baker niente. In Francia esiste solo Edith Piaf, la Baker non esiste. Fortunatamente nella Dordogna c’è lo Château des Milandes (un luogo dove l’artista visse con i suoi dodici figli adottivi, la cosiddetta «Tribu Arc en Ciel») e l’attuale proprietario ha lasciato il teatro per i concerti ed un’ala del castello a museo sulla cantante. C’è la possibilità di presentare Dis-nous Joséphine in quel teatro.

Come è entrato in contatto con lei per le scritture?

Quando doveva venire in Italia per la prima volta, ha chiesto ad un suo manager di Roma: ’Mi serve un pianista, non un’orchestra, perché se pago una sola persona incamero più soldi’. Il manager ha fatto il mio nome: ’Ho la persona per te: sigle, non sigle, parti di pianoforte… tutto quello che vuoi… legge tutto’. Abbiamo fatto la prima prova, ha detto: ’ Bravo, Gerardo, non hai sbagliato niente’. Avevo allora una quarantina d’anni. NeI’70 avremo fatto 40concerti insieme, in giro per l’Italia.

Il pubblico come reagiva?

Il pubblico… Nonostante l’età, era nata nel 1906, aveva una partecipazione corporea – oltre, naturalmente, alla vocalità – che mantenevano ancora un fascino straordinario.

Con il disco che ha realizzato («Dis-nous, Joséphine») insieme a Filiberto Palermini e Paola Massero vi rivolgete soprattutto a chi non ha avuto l’occasione di sentirla e di apprezzarla anche come personaggio politico, che ha lottato tutta la vita contro razzismo, povertà e discriminazione?

Noi abbiamo voluto abbinare la vocalità alle canzoni più significative del suo repertorio, a quel rapporto immediato con il pubblico che creava con brani che possono sembrare banali. Abbiamo voluto ricreare la stessa atmosfera, dando magari ogni tanto una piccola impronta jazzistica (nell’orchestra de La revue nègre che vide trionfare la Baker a Parigi nel 1925 suonavano jazzisti di fama come Sidney Bechet e Will Marion Cook; i suoi mentori principali furono Eubie Blake e Noble Sissle, nda), perché pure lei veniva da lì.