«La fiducia del presidente Napolitano è ben riposta nel presidente Berlusconi»: parola (non disinteressata) del vicepremier Alfano. Basta e avanza per dare la stura a una ridda di ipotesi perlopiù surreali sulla via d’uscita che gli azzeccagarbugli di Arcore sarebbero a un passo dal trovare. Favole. Vie d’uscita onorevoli, o anche solo soddisfacenti, per Berlusconi non ce ne sono. Il Pd boccerà la relazione Augello, a qualsiasi proposta di ricorso questa si appigli per ottenere una sospensiva dei lavori della Giunta. Poi voterà la decadenza del quasi ex dal Senato. Questione di giorni o settimane. Certamente non di tempi biblici. Per mantenere intatta la possibilità di votare a novembre, peraltro, Berlusconi non può permettersi di perdere tempo. La finestra si chiuderà il 29 settembre. Ma poiché l’eventuale ritiro dei ministri Pdl non comporterebbe automaticamente la fine della legislatura, deve muoversi in sensibile anticipo anche su quella data.

Se trattativa può esserci, se qualche spiraglio si è aperto dopo la missione segreta di Fidel Confalonieri sul Colle, riguarda solo le condizioni della resa del Cavaliere, e anche da questo punto di vista va tenuta a freno la fantasia. La sola idea di un «salvacondotto» che protegga il condannato da ciò che più teme, l’ordine di arresto diramato da qualche procura, è tanto ridicola che sul Colle nemmeno ne vogliono sentir parlare. La sola condizione di resa passa per le dimissioni di Berlusconi dal senato e una regolare domanda di grazia, la cui concessione comporterebbe la restituzione del passaporto. Con tutto quel che ne potrebbe conseguire.

L’ultima cortesia che l’ex premier chiede è un riconoscimento pubblico delle sue benemerenze da parte del capo dello stato che lo protegga almeno in parte da ulteriori guai giudiziari. Non è detto che lo ottenga. Dietro la cortina fumogena che da settimane oscura la vista, solo questo è il dilemma in cui si dibatte Berlusconi: arrendersi o tentare l’azzardo di una guerra totale. Nessuno può dire cosa sceglierà. Non lo sa nemmeno lui. Gianni Letta e le teste dell’azienda, a partire da Confalonieri e dalla figlia, gli consigliano di non lanciarsi in un’avventura che potrebbe rivelarsi esiziale proprio per l’azienda. Le colombe sono volate di corsa in quel solco e suonano la stessa musica. Ma i duri, con i quali il diretto interessato è ben più in sintonia almeno quanto a stato d’animo, martellano ripetendogli che, al contrario, solo restando politicamente in campo potrà difendere sia la sua libertà che le sue proprietà.

A lui, di certo, l’idea di sgomberare il campo proprio quando i sondaggi lo danno in testa non sorride affatto. Ieri a pranzo, ad Arcore, sono arrivati i capigruppo Schifani e Brunetta, poi, a ruota, una lunga processione. Si è parlato certamente anche della rinascita di Forza Italia, l’arma che Silvio il Piazzista tiene nel cassetto per non bruciarla prima della campagna elettorale. Ma si è parlato soprattutto della tenuta del Pdl in caso di ritiro dei ministri dal governo. Se ne andrebbero davvero tutti? E quanto è forte il rischio di uno smottamento nelle file dei senatori tale da salvare il governo Letta anche dopo il pollice verso di Arcore? Le rassicurazioni dei capigruppo non bastano a tranquillizzare il capo. Nei corridoi del parlamento circolano da giorni voci, che in questi casi vanno prese con l’attizzatoio, sulla possibile defezione di un paio di ministri.

Si parla anche di 20 senatori Pdl decisi a salvare il governo, ma qui il conto è certamente sovrastimato. I calcoli sulla possibile tenuta del governo, inoltre, danno per certo un sì dei 7 senatori di Sel e dei 4 fuoriusciti dall’M5S che invece, senza un cambio palese di maggioranza, è tutt’altro che scontato. La realtà è che, senza un dissenso tanto corposo da somigliare a una scissione tra i senatori del Pdl, ha poche possibilità di successo la carta che Letta e il Colle intendono giocare: portare il governo alle camere senza nemmeno sostituire i ministri dimissionari e cercare di strappare una fiducia di misura come fece Berlusconi nel dicembre 2010. I piatti della bilancia restano così in pari. Per ora Berlusconi ha sospeso le ostilità: ha bloccato il videomessaggio e deciso di mantenere il silenzio lunedì nell’incontro con Sallusti, nonché di disertare Atreju. Poi si vedrà. E la giostra continua a girare. A vuoto.