Sono tante le circostanze da verificare sulle violenze degli ultimi giorni. Ma un punto è molto importante da chiarire: chi ha arrestato Mohammed Morsi? La sua destituzione non implicava necessariemente un arresto che poi si è esteso a tutta la leadership della Fratellanza, per incitamento all’uso della violenza. Ma per arrivare a questo sono due i meccanismi che sono stati attivati: il primo riguarda l’uso delle forze di polizia in contesti caotici; il secondo si riferisce alle divisioni politiche e sociali all’interno dell’esercito.

Quando il caos regna nelle strade delle città egiziane, i primi ad avvantaggiarsene sono i poliziotti, che sebbene assenti, possono attivare i loro delegati, spesso semplici criminali o affiliati del dissolto Partito nazionale democratico, per diffondere terrore e insicurezza. La polizia è stata sempre presa di mira dai manifestanti per le sue pratiche sommarie. Il ministero degli Interni, che controlla le forze di polizia, ha spesso dato ordini specifici ai poliziotti in merito all’uso della violenza rispetto alle indicazioni date dall’esercito alla polizia militare. Ma quando il caos regna, perché sono in corso due enormi manifestazioni contrapposte e le vie del centro sono bloccate, polizia ed esercito si uniscono per diffondere con metodi diversi un senso di instabilità che spinga tutti a tornare a casa. Quindi non stupisce, se dalle poche immagini che si hanno dell’arresto di Morsi, si vedono uomini in borghese o poliziotti a fermare il presidente. E se a provocare la strage del palazzo della Guardia presidenziale sia stata la polizia militare.

Fin dove arriverà lo scontro tra militari e Fratellanza dopo la luna di miele e la coabitazione fragile? La procura egiziana ha ordinato la chiusura della sede del Partito della Giustizia e Libertà» al Cairo, dopo il ritrovamento di armi, liquidi infiammabili, coltelli, con un mandato di arresto, per istigazione a uccidere, contro Essam el-Arian, leader del partito. Duecento membri della Fratellanza sono stati arrestati per possesso di molotov, armi bianche e mitra, intorno alla moschea di Rabaa el Adaweya. Mentre i sostenitori di Morsi hanno catturato due soldati.

Sembra in corso una resa dei conti tra le correnti politiche interne all’esercito. Esistono divisioni strutturali dentro le forze armate egiziane tra gruppi paramilitari, forze speciali e polizia militare. In politica, alcuni soldati sono poi vicini agli islamisti, insieme ai quali avevano organizzato il colpo di stato militare dei giovani ufficiali del 1953, altri sono con i nasseristi, per riforme sociali che ricordino il capitalismo di stato di epoca nasseriana, molti giovani seguono il discorso populista dei salafiti. Esistono poi divisioni sociali, anzi una spaccatura tra ufficiali e giovani militari poveri. Questi contrasti non corrispondono automaticamente in scelte politiche definite ma negli ultimi due anni hanno influenzato la vita politica, dirigendo le decisioni della Fratellanza, determinando, ad esempio, la cancellazione di candidati anti-sistema dalle competizioni elettorali (come Khairat al-Shater) e i brogli che hanno prodotto la sconfitta del nasserista Sabbahi al primo turno delle presidenziali del 2012.

Per questo, l’abbandono della gestione diretta del governo da parte della giunta militare prima e lo stop alla Fratellanza poi, che è in corso, sembra servire all’esercito per serrare i ranchi e riprodurre costantemente il proprio controllo sulla società egiziana.