Calmato il fronte con i “nemici” della Cirenaica, è iniziata la resa dei conti in Libia tra i vincitori in Tripolitania. Il segnale è stato lanciato l’altro giorno con l’arresto di ‘Abd al-Rahman Milad («Bija») per traffico di esseri umani. A finire in manette non è un criminale comune. Non è solo un ufficiale della cosiddetta Guardia costiera libica con cui Roma (e non solo nella Fortezza Europa) rivendica la cooperazione nel bloccare i migranti.

È in primo luogo uomo influente a Zawiya, città costiera importante negli equilibri libici: è tra i punti principali per le partenze dei migranti, ma anche perno per le esportazioni di prodotti petroliferi. Al-Milad è tra i leader della milizia locale ed è stato in prima linea nella difesa di Tripoli dal fallito golpe del generale cirenaico Haftar.

Che non avesse un curriculum da santo lo si sapeva da tempo: colpito da sanzioni dall’Onu, è accusato dalla Corte internazionale dell’Aja di crimini contro l’umanità per essere uno dei maggiori organizzatori del traffico di migranti. L’Onu lo ritiene anche a «capo di una vera cupola mafiosa».

Ma tutto ciò non aveva impedito al Gna, governo riconosciuto internazionalmente, di chiedere il sostegno dei suoi favori quando il «terrorista» Haftar era alle porte di Tripoli. Un aiuto passato nel silenzio della comunità internazionale che ora saluterà con gioia il suo arresto. Eppure Bija conosceva bene le autorità europee: sotto falso nome, partecipò nel 2017 sia a una riunione in Italia dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) che a una riunione sull’immigrazione al Cara di Mineo (Catania) alla presenza di funzionari italiani.

Uomo potente, ma che a agosto ha commesso un grave errore: mettersi contro il potente ministro degli Interni Bashaga proteggendo le manifestazioni che chiedevano la sua rimozione. L’uomo forte di Misurata, che di lì a poco sarebbe stato silurato dal premier al-Sarraj per essere poi reintegrato, non ha dimenticato l’affronto. E così, quando il capo del governo a metà settembre ha annunciato di dimettersi per la fine di ottobre, ha capito che era ormai arrivato il tempo per prendere la leadership della Tripolitania nel modo più consueto: apparire all’estermo l’unica alternativa affidabile al caos politico libico.

Non sorprende che l’ordine di arresto di al-Milad è sì partito dal procuratore generale al-Sour (a lui vicino), ma in collaborazione con l’Interpol su richiesta dell’Onu. Bija potrebbe non essere l’unica testa a cadere nella sua operazione di pulizie anti-milizie: secondo il sito libico Al-Saa24, la prossima è quella di Salah Badi, capo dei miliziani al-Sumud di Misurata.

La domanda è ora capire come reagirà la galassia delle milizie libiche. La reazione di quelle di Zawiya finora si è ridotta a qualche momento di tensione con le forze di deterrenza Rada che fanno capo proprio al ministero dell’Interno. Ma il rischio di un’escalation c’è.

Bashaga lo sa, ma punta a novembre quando si potrebbe siglare a Djerba (Tunisia) un accordo di riconciliazione con il governo dell’est di Tobruk. Bija è uno dei suoi accrediti per entrare nella sala dei bottoni. Nessuno si illuda che davvero in Libia improvvisamente si voglia fare la guerra a criminali e sfruttatori di migranti.