Da lunedì la Repubblica Ceca è entrata nel lockdown più duro dall’inizio dell’epidemia. Per almeno tre settimane i cechi non possono uscire dalla provincia di residenza se non per ragioni di lavoro, cure sanitarie o accudimento di minori. Hanno chiuso i battenti le scuole di ogni ordine e grado e anche i negozi aperti sono stati ridotti a quelli alimentari.

Almeno da novembre la Repubblica Ceca è al vertice della classifica dei paesi europei per numero di nuovi contagi in relazione alla popolazione. Il paese aveva superato egregiamente la prima ondata dell’epidemia ma in autunno si è trasformato nel cuore malato d’Europa. La situazione è peggiorata nelle ultime settime con la diffusione delle variati. «Se non verranno rispettate le nuove regole, il mondo vedrà una Bergamo in Boemia» ha detto il premier Andrej Babiš venerdì sera, quando sono state annunciate le nuove limitazione.

Da fine gennaio la sanità ceca si trova sull’orlo del collasso. Il sistema sanitario ha una struttura ben robusta ereditata dal sistema socialista e modernizzata negli ultimi anni dai finanziamenti europei. A mancare non sono tanto i posti letto e i ventilatori ma i medici e soprattutto gli infermieri. La situazione è migliorata con la vaccinazione che ha portata al crollo dei contagi tra gli operatori sanitari. Nel resto della popolazione, a causa delle poche dosi disponibili, il virus continua a circolare a grande velocità. Per questa ragione il governo sta valutando, sulla scia dell’esperienza ungherese, l’acquisto in proprio del vaccino russo Sputnik V. Una proposta in tal senso sarebbe arrivata dal Cremlino al presidente ceco Miloš Zeman.

Da ottobre la Repubblica Ceca era in un lockdown semiduro, corrispondente alla zona arancione italiana, ma «le misure, che abbiamo preso hanno smesso di funzionare» ha ammesso a inizio febbraio il ministro della salute Jan Blatný. Ne è la dimostrazione l’approccio dei paesi vicini, che man mano hanno chiuso le frontiere. Il provvedimento più forte è stato preso dalla Germania, che di fatto ha vietato l’entrata sul suo territorio se non per il trasporto merci e ai pendolari impiegati in settori critici, suscitando le ire di Bruxelles.

Fino ad ora il governo ha evitato di toccare con le limitazioni l’industria. «Il governo ha preferito gli interessi economici alla salute delle persone» ha dichiarato il segretario generale della principale confederazione sindacale ceca Josef Stredula dopo la pubblicazione delle nuove misure. I sindacati avevano già in precedenza sottolineato la necessità di limitare le attività nelle fabbriche suscitando gli strali tra gli industriali. A favore delle limitazioni nell’industria si sono anche schierati, seppur timidamente, i socialdemocratici, che nel governo devono convincere il premier, decisamente contrario.

Secondo gli industriali le limitazione metterebbero in difficoltà le aziende ceche, che spesso sono fornitrici di componenti per produttori finali, che stanno a ovest.

Invece della chiusura il governo ha introdotto l’obbligo della mascherina sul luogo di lavoro e intende nelle prossime settimane rendere obbligatorio lo screening nelle aziende. Ma non è ben chiaro chi controllerà questi nuovi obblighi soprattutto nei posti di lavoro senza una forte presenza sindacale.

In queste settimane il governo è in crisi di nervi. L’esecutivo, che è di minoranza, ha rapporti complicati con i soci esterni, i comunisti, che hanno lamentato la mancata riapertura delle scuole e delle piste da sci, ed è sotto il fuoco dell’opposizione, che ne critica la comunicazione e l’approccio ai provvedimenti. A metà febbraio i partiti d’opposizione hanno bocciato la proroga dello stato d’emergenza chiesto dal governo, ma poi i presidenti delle regioni, in maggioranza esponenti di quegli stessi partiti d’opposizione, ne hanno chiesto la reintroduzione.

Lo stato di decomposizione della scena politica ceca è stato ben visibile venerdì, quando si è votato per la modifica di una legge che avrebbe aumentato l’indennità delle persone in quarantena. Sulla carta quasi tutti i partiti erano a favore del provvedimento, che alla fine non è passato per mancanza di voti.

L’opposizione si è astenuta per alcuni vizi formali e dalla maggioranza sono mancati alcuni voti attirati dalle dichiarazioni delle associazioni imprenditoriali, secondo cui l’indennità maggiorata sarebbe stata come un bonus per restare a casa. Eppure il provvedimento era molto importante: i cechi ormai non segnalano più i contatti nel tracciamento per non mettere in difficoltà finanziarie i colleghi o le persone care.

La pandemia ha messo in forte difficoltà il premier e oligarca Babiš, che per la prima volta in sei anni vede calare in maniera sensibile le preferenze. Ma le opposizioni nonostante tutto non chiedono a gran voce la fine del governo e del premier. Evidentemente sperano che a ottobre, quando ci saranno le elezioni parlamentari, la tempesta sia già passata.