Le elezioni parlamentari per la Duma di Stato (la camera bassa del Parlamento di Mosca), che hanno preso il via ieri e proseguiranno fino a domani, rappresentano una prova importante per il governo russo. Non tanto per il risultato, scontato visto il distacco di Russia unita, partito del presidente Vladimir Putin, rispetto alle altre formazioni nei sondaggi.

MA PER GLI EQUILIBRI sociali di un paese il cui atteggiamento nei confronti degli oppositori politici è stato al centro del dibattito internazionale negli ultimi mesi, grazie anche alla vicenda di Aleksej Navalnyj. Nonostante sia quasi certa la vittoria di Russia unita (che con il 40-45 per cento di consensi stimato dai sondaggi dovrebbe riuscire senza problemi a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi alla Duma, distaccando ampiamente il Partito comunista, al secondo posto con il 17-19 per cento), il risultato atteso è ben inferiore rispetto alle ultime elezioni del 2016, quando la formazione di Putin ottenne il 54,2 per cento.

Un calo importante, imputabile in parte al malcontento di determinate fasce di popolazione rispetto alle scelte del governo su alcuni nodi strutturali, come la gestione della pandemia o il peggioramento della congiuntura economica: in quest’ultimo caso, poi, pesa particolarmente il problema dell’inflazione e del rincaro dei prezzi dei generi alimentari.

UN CALO DEI CONSENSI che è stato solo parzialmente compensato dall’indice di gradimento nei confronti di Putin, che si mantiene elevato tra il 60 e il 65 per cento e che per alcune frange dell’opposizione rappresenta una leva da sfruttare.

Proprio questa situazione ha fatto sì che Russia unita si presentasse alle elezioni parlamentari di quest’anno – che si svolgeranno in parallelo con il voto per il rinnovo di 39 organi legislativi regionali e 12 governatori – dando grande attenzione al tema delle riforme, e non solo a quelli che sono i temi classici del conservatorismo russo (come il rafforzamento delle forze armate, il sostegno alla maternità o la salvaguardia dell’identità culturale del paese).

Oltre all’aumento delle retribuzioni e del salario minimo, nel programma elettorale è stato riservato un occhio di riguardo al comparto dell’edilizia, con una serie di agevolazioni su base regionale, alla sanità pubblica e al tema della sostenibilità, particolarmente delicato in un paese ancora fortemente dipendente dagli idrocarburi.

Sebbene stiano venendo a galla le difficoltà del partito a raggiungere l’elettorato (lo dimostra anche l’incertezza sul raggiungimento della maggioranza costituzionale, pari a 301 seggi), sullo scenario politico russo continua a pesare la mancanza di un’opposizione vera che si ponga in maniera concreta come alternativa allo status quo.

PESA PARTICOLARMENTE l’arresto a gennaio di Aleksej Navalnyj, attivista e figura cardine dell’opposizione a Putin che sta scontando due anni e otto mesi di reclusione in una colonia penale dopo essere stato condannato per appropriazione indebita nel quadro del caso Yves Rocher.

All’arresto di Navalnyj, cui è seguito poco dopo l’oscuramento del suo sito web Smart Voting (piattaforma che suggeriva agli elettori i candidati da votare in opposizione a Russia unita) per aver promosso «attività estremiste», si sono accompagnate numerose repressioni. Particolarmente significativa la legge approvata a giugno che identifica come «agenti stranieri» numerose testate giornalistiche o media indipendenti (tra cui il quotidiano Meduza) per il fatto di ricevere finanziamenti dall’estero.

Non solo: a pochi giorni dall’apertura dei seggi è stata avviata la distribuzione di contributi economici e incentivi, con assegni una tantum da 15 e 10mila rubli (175 e 117 euro) rispettivamente per gli ex militari e poliziotti in pensione e per tutte le altre categorie di pensionati.

UNA SITUAZIONE, tra repressioni ed espedienti per controllare il malcontento della popolazione (insieme a una nuova stretta sul numero di osservatori elettorali esterni consentiti), che ha indotto l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) ad annunciare che si asterrà dal monitorare il processo elettorale. Una decisione che difficilmente porterà al mancato riconoscimento del risultato delle urne, ma che rappresenta in ogni caso un segnale poco rassicurante.