Se l’Unione europea riuscirà a fare fronte unito, 35 personaggi della nomenklatura iraniana non potranno più entrare nel vecchio continente, i loro eventuali beni e conti bancari saranno congelati e non potranno intraprendere alcun business con le imprese europee, nemmeno se restano in Iran.

In cima all’elenco c’è Abdolreza Rahman Fazli, ministro degli Interni e capo del Consiglio di Sicurezza nazionale: è lui ad aver spento Internet e ad aver ordinato alla polizia e alle forze armate di usare armi letali durante le proteste del novembre 2019, quando centinaia di dimostranti disarmati sono morti e sono stati feriti.

Nel mirino c’è anche Hossein Ashtari, comandante in capo della polizia e membro del Consiglio di Sicurezza nazionale: ha partecipato agli incontri che hanno portato alla decisione di sparare ed è il capo dei reparti speciali che hanno colpito i dimostranti.

È improbabile (ma non escluso) che questi signori abbiano interessi economici e finanziari in Europa. Di conseguenza, le restrizioni individuali dell’Ue nei loro confronti sarebbero un gesto simbolico, per far capire che Bruxelles non chiude gli occhi sulle violazioni dei diritti umani. A fare pressione, affinché tutti i paesi dell’Unione aderiscano a questa iniziativa, è l’ong Justice4Iran che ha raccolto prove e testimonianze delle violenze.

«Polonia, Austria, Spagna e Italia sembrano esitare, forse non vogliono rischiare di perdere una fetta di mercato nel momento in cui dovesse aprirsi uno spiraglio per il business con Teheran», osserva la co-direttrice Shadi Sadr.

Facciamo un passo indietro per ricordare che cos’era successo. In seguito a un improvviso rincaro del carburante, il 15 novembre 2019 migliaia di dimostranti si riversavano nelle strade. In linea di massima le proteste erano pacifiche, ma in alcune località erano stati presi di mira edifici governativi e banche ed era stato appiccato il fuoco alle stazioni di servizio. La sera del 16 novembre le proteste si erano diffuse e le autorità imponevano il blocco di Internet. Il blackout dell’informazione andò avanti per cinque giorni, permettendo a polizia, forze di sicurezza e militari di reprimere il dissenso.

A distanza di mesi ancora non sappiamo quanti siano stati i morti: per Amnesty International 304, secondo un report della Reuters che cita fonti del ministero degli Interni, addirittura 1500. «Negli ultimi trent’anni non c’erano state atrocità gravi come quelle del novembre 2019, quando centinaia di dimostranti sono stati uccisi e migliaia di altri feriti o arrestati in almeno 39 città e 15 province dell’Iran. Nonostante le richieste delle famiglie delle vittime affinché sia fatta giustizia, la magistratura non ha dato avvio ad alcuna inchiesta, garantendo la totale impunità», continua Sadr.

Come si spiega questa violenza di Stato? Secondo Drewery Dyke, autore del report Ceasefire / Minority Rights Group pubblicato a giugno, «le autorità della Repubblica islamica percepiscono ogni sfida politica come una minaccia alla propria esistenza. Per difendere la sicurezza nazionale imprigionano, torturano e uccidono i propri cittadini. È questo imperativo a dominare la vita pubblica fin dalla rivoluzione del 1979. A pagarne il prezzo sono i dissidenti, le minoranze etniche e religiose, coloro che hanno doppia cittadinanza, i migranti. È questo imperativo ad aver permesso la crescita smisurata di potere delle Guardie della rivoluzione».

In merito alla riluttanza di Polonia, Austria, Spagna e Italia a sottoscrivere le restrizioni individuali ai 35 iraniani colpevoli della repressione, Dyke osserva: «Eppure a giugno tutti questi quattro paesi europei hanno votato per estendere di un altro anno il mandato dello Special Rapporteur delle Nazioni unite sull’Iran, vuol dire che sono ben consapevoli che la situazione dei diritti umani in Iran è tale da richiedere di essere monitorata da una persona designata dall’Onu».

Ora si tratta di sanzionare 35 individui iraniani colpevoli di avere dato ordine di commettere le peggiori nefandezze sui dimostranti. Queste nuove sanzioni sarebbero volte a colpire solo questi 35 individui e non la popolazione, come fa invece l’embargo degli Stati uniti.

«L’Unione europea e l’Italia, in quanto suo membro di rilievo, non possono fare finta di niente di fronte alle violazioni dei diritti umani in Iran. Applicare le sanzioni nei confronti di questi 35 individui sarebbe un segnale forte, rivolto alle autorità iraniane, per far capire che avere buone relazioni economiche e politiche con Teheran non equivale a dare carta bianca per uccidere i suoi cittadini nel momento in cui esercitano il loro diritto pacifico di dimostrare», conclude Sadr.