Bari, 29 dicembre 2021. Il cavalluccio marino afferra con la coda il cotton fioc che porta con sé, nuotando ignaro nelle acque verdi dell’arcipelago indonesiano, nel noto scatto del fotografo statunitense Justin Hofman. La fotografia (Sewage Surfer) è stata finalista al Wildlife Photographer of the Year 2017. Altro che acque trasparenti, il titolo va dritto al punto: surfista nelle acque nere! Sulla parete di fronte, nello storico Teatro Margherita di Bari dove è allestita la mostra fotografica Planet or Plastic? (fino al 13 marzo) – curata dal National Geographic e organizzata nell’ambito di Io scelgo il Pianeta (primo festival della sostenibilità ambientale di Bari) da Cime con il sostegno della Regione Puglia, del Comune di Bari e la partecipazione del corso di Laurea in Scienze Ambientali dell’Università degli Studi di Bari – è esposta un’altra immagine iconica: il campione mondiale indonesiano di surf, Dede Suryana, che cavalca l’onda con la sua tavola.

Eppure in questa foto del 2013 firmata da Zak Noyle, tra i fotografi d’avventura più celebri della nostra epoca, la scena da Un mercoledì da leoni trasporta il visitatore in una dimensione certamente più spaventosa che avventurosa. In quel posto sperduto a sud dell’isola di Giava, a 15 ore di auto da Jakarta, l’onda porta con sé i rifiuti più inquinanti dell’uomo. Un vero campionario di oggetti di plastica coloratissimi – a modo loro anche potenzialmente seduttivi – che vengono prodotti prevalentemente in Cina (un quarto del totale globale viene dal paese asiatico) ed esposti negli oltre 70mila stand del più grande mercato all’ingrosso del pianeta, nella città di Yiwu a circa 300km da Shanghai.
Il percorso di Planet or Plastic? inizia proprio con il reportage dell’inglese Richard John Seymour che porta a riflettere sul concetto di quantità, come elemento di decodificazione della società, andando ben oltre l’inquadratura dell’apparecchio fotografico. Un dato di fatto imprescindibile. Paradossalmente, le prime plastiche sintetiche furono inventate nel XIX secolo, negli Stati Uniti, con l’obiettivo di salvaguardare lo sterminio degli animali selvatici, soprattutto gli elefanti. Un’azienda newyorkese che fabbricava biliardi mise a disposizione un premio di 10mila dollari per chi avesse scoperto un materiale alternativo all’avorio, usato fino a quel momento per produrre palle da biliardo, tasti del pianoforte e pettini.

Il brevetto, nel 1868-69, è di John Wesley Hyatt che inventò la celluloide: nitrocellulosa di azoto plastificata con canfora. Una ventina d’anni dopo questo stesso materiale sarà impiegato anche da Hannibal Goodwin per la realizzazione delle pellicole fotografiche. Se, tuttavia, durante la seconda guerra mondiale e nel dopoguerra l’utilizzo del polimero è decisivo nel dare un imprinting alla qualità della vita – basti pensare al suo ruolo in medicina e nella tecnologia chirurgica (la siringa monodose è del 1955) – negli anni Settanta la produzione e l’uso della plastica aumenta in maniera esponenziale, arrivando a toccare il 400% tanto da superare addirittura quella dell’acciaio. Il problema, però, è il suo smaltimento e l’inquinamento incrementato dalla pandemia: dalle immense discariche negli slum agli animali che muoiono ingerendo rifiuti plastici, gli aspetti sono molteplici come è evidente nei lavori di fotografi e filmmaker internazionali, tra cui Mandy Barker, Jordi Chias, Shawn Miller, Randy Olson, Dan Westergren, David Liittschwager, Nick Pumphrey.

La situazione allarmante in cui versa il pianeta è sottolineata anche dai cambiamenti climatici, con la proiezione del documentario del National Geographic Before the Flood (2016), diretto da Fisher Stevens, che vede protagonista l’attore Leonardo Di Caprio, Messaggero della Pace per conto dell’Onu che incontra Barack Obama e Papa Francesco. Infine, Dolcetto o scherzetto (Trick or treat)? si chiedono – rivolgendo la domanda alla collettività – i tre giovani studenti d’arte Hong Yi-chen, Guo Yi-hui e Zheng Yu-ti raccogliendo i campioni d’acqua (inquinata) di 100 siti di Taiwan, con cui realizzano dei ghiaccioli ambrati dal sapore (neanche a dirlo) disgustoso.