Lebron James che piazza sui suoi profili social la foto in cui fuma un sigaro, poco dopo dopo aver vinto a ottobre il titolo Nba con i Los Angeles Lakers. È il rituale del trionfo nello sport americano, stavolta osservato per l’elezione di Joe Biden alla Casa bianca. Un messaggio diretto a Donald Trump, che continua a macinare tweet minacciosi.
Durante un comizio nell’ultimo giorno di campagna elettorale, The Donald aveva aizzato i suoi sostenitori a gridare Lebron James sucks. La prova, la legittimazione indiretta di uno sportivo da parte del presidente in carica, uno sportivo che viene da un ghetto di Akron (Ohio) che è sceso in campo con una no profit per spiegare le ragioni del voto agli afroamericani e che dunque poteva portargli via voti.

COSÌ È STATO ED È IL MOMENTO del trionfo, forse della rivincita: festeggiano le stelle dello sport che si sono impegnate in prima persona per richiamare al voto l’elettorato afroamericano. Hanno dovuto tollerare le provocazioni dell’ex inquilino della White House: derisioni, offese personali contro gli atleti che hanno aderito al boicottaggio dell’inno americano prima di ogni partita di basket, football o calcio in risposta alle continue violenze della polizia contro la comunità afroamericana. Il simbolo di quella protesta, l’ex lanciatore dei San Francisco 49ers, Colin Kaepernick, nelle mire di Trump e che non ha più giocato un solo minuto nella Nfl dopo l’anatema presidenziale, resta in silenzio.
Non così un’altra voce assai ascoltata del basket, Steve Kerr, allenatore dei Golden State Warriors, figlio di un diplomatico americano che venne ucciso in Libano negli anni Ottanta. Sul suo account Twitter pubblica le lettere che i presidenti uscenti hanno inviato al suo successore, l’ultima da Obama a Trump, aggiungendo la frase: «That’s the country I knew» (Questo è il Paese che riconosco). È un riferimento alla politica post voto di Trump appena fiutata la sconfitta: avvelenare i pozzi, gridare ai brogli, dichiararsi vincitore.

DAL BASKET AL SOCCER femminile con Megan Repinoe, icona lgbt: Thank you black woman, il suo primo tweet, il ringraziamento alle donne afroamericane che si sono attivate per spedire al voto l’elettorato nero. E c’è spazio in seguito anche per le congratulazioni dirette a Kamala Harris, sottolineando l’importanza del suo incarico a vicepresidente degli Stati uniti, e ribadendo che per le donne afro non è più il momento di guardarsi indietro. Lo scorso anno la calciatrice della nazionale americana, prima dei Mondiali, disse che mai, in caso di successo finale, avrebbe sfilato alla Casa bianca per la stretta di mano a un presidente che non rispetta le diversità: «Che Dio ci aiuti, se tutti noi gli assomigliassimo sarebbe spaventoso. Davvero spaventoso. E inquietante». Ricevendo la risposta da macho di Trump, che la invitava poco gentilmente a pensare solo al soccer.