In un Paese civile, un evento senza precedenti nella storia degli stati, come la declaratoria di incostituzionalità del sistema di elezione del Parlamento – cioè della legge che sancisce la forma di stato e inerisce alla forma di governo – avrebbe determinato, immediatamente e senza alcuna esitazione, lo scioglimento immediato delle assemblee elette con quel sistema. Con l’assoluta sicurezza della legittimità del sistema elettorale col quale sarebbero state elette le nuove Camere, stante la fortuna di disporre di un meccanismo elettorale di risulta costituzionalmente corretto e immediatamente utilizzabile, depurato com’è delle disposizioni illegittime.

Siamo, invece, in Italia. Ci tocca quindi constatare che le due Camere del Parlamento restano, spavaldamente, in carica. Per giunta si apprestano a riformare addirittura la Costituzione e intanto a provvedersi di un altro sistema elettorale. A proporlo sono stati due personaggi ambedue sprovvisti di potere propositivo legale. Uno perché condannato per truffa a danno dello stato e interdetto dai pubblici uffici, l’altro perché era titolare di una carica che lo rendeva incompatibile col mandato parlamentare. Ambedue in preda all’ossessione di acquisire, esercitare e incrementare potere personale, anche calpestando norme e principi. Ma non basta. Ad integrare la devastazione giuridica, politica e morale che sta attraversando la nostra Repubblica, si aggiunge il tipo di sistema elettorale che propugnano i due usurpatori dei diritti dei componenti delle due Camere. Sistema che riproduce sfacciatamente le incostituzionalità già accertate dalla Corte, le riveste e le imbelletta con sguaiata volgarità.

Chi scrive, tuttavia, resta imperterrito difensore del parlamentarismo. Al punto da sognare un’estrema improbabilità. Pur se nominati e non eletti, è dal voto alle liste che contenevano i loro nome che i deputati e i senatori in carica derivano i poteri che spettano ai membri del Parlamento. È dal voto delle elettrici e degli elettori, pur se con sistema truffaldino, è dal corpo elettorale, pur se compresso e resecato, è in nome di quel poco che forse resta ancora della sovranità popolare che i deputati e i senatori seggono sugli scanni delle Aule delle due Camere. Potrebbero perciò riscattarsi dall’essere stati nominati e non eletti, potrebbero, per una volta, liberarsi dal dovere di ubbidire a chi li ha inclusi nelle liste e sentirsi obbligati invece a rappresentare «la Nazione senza vincolo di mandato» rifiutando di approvare una legge elettorale progettata da chi ha usurpato il loro potere fondamentale di proposta oltre che di approvazione delle leggi.

Una legge elettorale che si basa su due negazioni, due violazioni dei principi elementari dello stato rappresentativo e della democrazia. Uno è il principio della libertà di voto, quindi di scegliersi chi votare come proprio rappresentante. È menzogna volgare asserire che si è liberi di scegliere in caso di lista bloccata. Lo si sarebbe soltanto… votando per una lista avversaria a quella preferita con il candidato preferito collocato però in una posizione di assoluta improbabilità di elezione.

L’altra negazione è quella occultata dalla idolatria della governabilità, della stabilità, della personalizzazione del potere, tutto a un uomo solo, e di altre mistificazioni della politologia dominante e distruttiva del principio di eguaglianza. Si denomina «premio di maggioranza». Ne va smascherata la verità con forza e continuità per combattere il capovolgimento indotto nel senso comune di una verità elementare. È falso nel nome, nella sostanza e nell’effetto. Non premia affatto una maggioranza, vanifica quella vera. Il principio di maggioranza, come tutti sanno, presuppone il raggiungimento della metà più uno dei voti espressi. Il «premio di maggioranza» non lo si conferisce a chi questi voti li ha acquisiti (che oltretutto non avrebbe bisogno) ma a chi non li ha acquisiti. Lo si conferisce , quindi, a una minoranza, quella che ottiene un solo voto in più di ciascuna altra minoranza. Il «premio» si traduce quindi in un privilegio per una delle minoranze rispetto a tutte le altre. Privilegio che comporta compressione di voti e sottrazione di seggi a quella che risulterà essere la maggioranza reale, vera, perché composta dalla somma delle liste votate, esclusa la minoranza privilegiata. Col renzusconum una lista che ottiene il 37% dei voti, raggiunto magari con altre liste della coalizione che non hanno raggiunto la soglia del 5% dei voti, una lista quindi che potrebbe aver conseguito solo il 30% dei voti o anche meno, otterrebbe il 53% dei seggi sottraendoli alla rappresentanza dei due terzi degli elettori. Non è l’unica violazione di ogni logica elementare del renzusconum. Ce ne sono altre come le «soglie» di entità esorbitante che perciò vanificano i voti di milioni di elettori che non si riconoscono in nessuna delle due aggregazioni supposte come maggiori. Soglie che operano selettivamente al primo scrutinio, ma scompaiono nel ballottaggio per riservarlo all’esclusivo dominio di tali aggregazioni.

Si sostiene che queste illogicità plateali, queste storture aberranti, si rendono necessarie per assicurare la governabilità anche se sacrificano l’eguaglianza. Un principio fondante (il massimo secondo Costituzione) dovrebbe recedere a fronte di un obiettivo che, al di là del costo altissimo in termini della stessa tollerabilità democratica, è tutt’altro che certo e comunque non sicuramente virtuoso. Lo dimostra l’esperienza disastrosa del governo Berlusconi, che dal 2008 al 2011 disponeva di una maggioranza enorme e ha portato l’Italia sull’orlo del default. Si sostiene anche che la sera dell’elezione gli elettori e le elettrici devono «sapere chi li governa». Mai idiozia così truffaldina fu congegnata. Averla prima inventata e poi diffusa ha determinato il rovesciamento tragico del senso dell’elezione trasmutandola in scelta di colui dal quale si sarà governati, come dire, se … da Francia o da Spagna si otterrà il «magnare». L’elezione non sarà più diretta alla scelta del rappresentante delle domande, dei bisogni, dei progetti di chi compone il corpo elettorale cui spetterebbe la sovranità. La sovranità sarà capovolta, diverrà sudditanza a un capo assoluto. La tragedia della democrazia si rappresenterà con la farsa dell’elezione.

Prima di approvare questa legge ci pensino i parlamentari della Repubblica. Chissà. Potrebbero cogliere l’occasione per rivelarsi tali.